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Uomini e non. Criticare Marchionne era legittimo

Inserito da on Ottobre 1, 2018 – 11:52 pmNo Comment

Quando è morto Marchionne i media si erano profusi in lodi sperticate delle sue capacità, della sua personalità, e persino della sua moralità: ha rimesso in piedi la Fiat, ha creato un gruppo internazionale, ha introdotto un nuovo stile nel comando (maglioncini e vita riservata), era un indefesso lavoratore, ha salvato migliaia di posti di lavoro… Pochi avevano ricordato che Marchionne ha portato la sede fiscale di FCA a Londra, quella legale in Olanda, quella operativa a Detroit e i suoi obblighi fiscali in Svizzera; che il suo reddito ammontava a 400 volte quello medio dei dipendenti; che i contratti collettivi della Fiat sono stati imposti con il ricatto; che degli otto piani industriali presentati per giustificare un ricorso ininterrotto alla cassa integrazione a spese dell’Inps nessuno è stato mai realizzato; che (ma allora non si sapeva) per imporre un salario dimezzato ai nuovi assunti in Chrysler avrebbe corrotto i sindacalisti; e che il regime imposto agli operai ancora al lavoro in Italia è violento, arbitrario e umiliante (nello stabilimento di Pomigliano c’è una gabbia di vetro dove gli operai che non reggono i ritmi o sbagliano qualcosa devono denigrarsi di fronte ai colleghi)… E solo il Corriere del Mezzogiorno (oltre a il manifesto) aveva ricordato il suicidio, accoltellandosi, di Maria Baratto, un’operaia di Pomigliano. Ma anche di quella vicenda mancava il prima e il dopo.

Il “prima” è che per sbarazzarsi degli operai più combattivio impossibilitati a tenere i ritmi Fiat, Marchionne aveva creato a Nola un reparto confino dove li teneva in cassa integrazione permanente, o a far niente; e che tra loro i suicidi erano stati tre, e molti di più quelli tentati. Il “dopo” è che per protesta cinque operai avevano inscenato davanti alla fabbrica un finto suicidio di Marchionne, fingendo che si fosse impiccato perché pentito delle sue angherie. I cinque erano stati licenziati per aver offeso l’onore dell’azienda e del suo top manager; licenziamento confermato dal tribunale di Nola con la motivazione che erano venuti meno all’obbligo di fedeltà verso l’azienda; che, secondo il giudice di Nola, vieta “la manifestazione di opinioni e critiche inerenti alla persona del datore di lavoro e/o dell’attività da questi svolta”: cioè di Marchionne e dei suoi metodi. Il giudizio di appello aveva annullato quella sentenza, imponendo il reintegro (mai attuato) dei cinque, ma la Cassazione l’ha confermata, ha reso definitivo il licenziamento e ha creato un precedente per tutti i futuri giudizi dello stesso genere: i dipendenti non hanno il diritto di criticare il padrone perché questo danneggia sia lui che l’azienda. E’ stato così aggiunto il divieto di esprimere le proprie opinioni alla lunga lista delle diseguaglianze -reddito, potere, sicurezza, riconoscimento della dignità – che separano l’onnipotenza trionfante di un manager ricco e incensato dalla miseria di un lavoratore sfruttato, perseguitato e licenziato, senza più alcuna prospettiva di lavoro e di reddito. Che crepi!