Ascoltando Macao (“il manifesto”, 25 maggio 2012)
“La vostra politica crea il vuoto”: la foto di questo striscione che campeggia su un cerchio di seggiole vuote nel cortile di Palazzo Citterio dove si sono tenute le ultime assemblee di Macao, scattata subito prima dell’irruzione di polizia, carabinieri ed esercito venuti per cacciar via gli occupanti, è il miglior commento ai risultati della tornata elettorale dello scorso weekend. Per capire quel 51 per cento di astensioni – o il successo di Grillo, che miete là dove hanno seminato per anni centinaia di iniziative locali senza rappresentanza ed esposte all’ostilità e all’ostruzionismo delle politiche statali, dei partiti ufficiali e delle amministrazioni locali – basta un colpo d’occhio a quella foto. Sulla Giunta Pisapia, portata al governo di Milano da un’ondata di entusiasmo che aveva per alcuni mesi coagulato larga parte di quelle iniziative in un processo politico vincente, rischia purtroppo di ricadere la responsabilità di aver dato il via a questi sgomberi (e forse a molti altri che potrebbero seguirli nel resto del paese): sia con l’aperta ostilità espressa dal suo Assessore alla cultura; sia con l’acquiescenza, in nome della prevenzione di un “vandalismo” di cui non c’era neppure l’ombra, ai diktat di un’opposizione responsabile, lei sì, del vandalismo che ha devastato la città e calpestato ogni istanza culturale nei decenni di governo delle giunte precedenti; sia con una scelta politica che rimette nelle mani delle autorità costituite – Sovraintendenza, Assessore, Ministri dei Beni culturali e dell’interno, Polizia, Esercito; e Ligresti – il compito di stabilire che cosa è cultura e che cosa no, e di amministrarla in nome e per conto di tutti.
La cultura, quella vera, oppressa da trent’anni di televisione, di marketing e di carrierismo craxiani e berlusconiani è da poco tornata a prendersi la scena in modi impensati: con l’occupazione del teatro Valle di Roma; con la presa di parola della generazione TQ (i trenta-quarantenni); con la forza aggregante di Macao a Milano e di decina di occupazioni di cinema, teatri, locali in varie città d’Italia. Cultura e arte sono scienza del possibile: potenze che scardinano l’appiattimento sui “fatti compiuti”, quel conformismo dei passati decenni che è stato un coperchio su una pentola in lenta ebollizione; ma che una volta sollevato, potrebbe far esplodere mille altre spinte sociali: proprio come quattro decenni fa la delegittimazione dei valori dell’ordine costituito prodotta dal movimento degli studenti aveva spalancato le porte all’offensiva operaia e sociale degli anni ’70.
Nelle assemblee di queste occupazioni – come tra gli acampados spagnoli o i partecipanti di Occupy Wall Street – si discute soprattutto di partecipazione, di democrazia, di regole e garanzie per assicurare a tutti possibilità e diritto di esprimersi e di portare il proprio contributo a una crescita comune. La novità maggiore di questa nuova stagione sta qui: cultura, democrazia e partecipazione coincidono. Non c’è cultura se non ha come suo humus la valorizzazione del contributo di conoscenze, di esperienze, ma anche e soprattutto di “vissuto”, di sentimenti e passioni, di tutti coloro che vogliono concorrere a un risultato condiviso; e viceversa, la democrazia non è e non può essere un mero insieme di regole – che pure vanno fissate e aggiornate in corso d’opera – ma è un regime di condivisione di saperi, sia specialistici che pratici, “mettendoci la faccia”; e mettendo in gioco i propri corpi, come la modalità delle occupazioni mette in evidenza. Dicono quelli di Macao, che si presentano come “lavoratori dell’arte”: Si produce democrazia facendo arte e si fa arte con la democrazia. Mettendosi in ascolto da “esterno” (se non altro per motivi generazionali), ma potendo contare su un background di occupazioni, di esperimenti di democrazia partecipativa e di riflessioni condivise, a me sembra che la vicenda di Macao insegni a tutti alcune cose (senza escluderne altre, che sicuramente mi sono sfuggite) che derivano direttamente dalle sue pratiche.
Innanzitutto le donne e gli uomini (“i ragazzi”, come li chiamano i media) di Macao non sono alla ricerca solo di uno spazio in cui rinchiudersi per sviluppare insieme le loro attività. Vogliono “aprire alla cittadinanza” spazi che la proprietà, sia pubblica che privata, ha tenuto sequestrati per decenni per procedere liberamente ai suoi scempi urbanistici. La torre Galfa è un immane spazio per uffici tenuto volutamente vuoto dal principale speculatore edile di Milano (e non solo) per far crescere a pochi metri di distanza – seppellendo sotto il cemento uno dei quartieri storici più popolari e “vissuti” della città – una foresta di grattacieli altrettanto inutili: la nuova residenza “celeste” della Giunta Formigoni; il “bosco verticale” progettato dall’attuale Assessore alla cultura, già estensore del Masterplan di Expo 2015 (la maggiore “palla al piede”, destinata al cemento, della Giunta Pisapia) e di quello del mancato G8 alla Maddalena (finito tra le mani della “cricca” di Bertolaso); il grattacielo Unicredit (che ha battuto Formigoni in una gara di erezione in vetrocemento); e molte altre torri ancora.
Diversa, ma analoga, la storia di Palazzo Citterio: comprato dallo Stato quarant’anni fa per dare respiro all’Accademia e alla Pinacoteca di Brera, è rimasto vuoto fino all’ingresso di Macao; ma è riuscito a inghiottire decine di milioni di euro e di miliardi di lire senza farne niente, anche grazie alle cure dell’ex Ad di MacDonald, promosso direttore generale dei Beni culturali, e a un “subcommissario” della cricca Bertolaso. Adesso gridano che l’occupazione stava bloccando la ristrutturazione della “Grande Brera”. Una Brera tanto “grande” da non poter più contenere gli studenti dell’Accademia, che il progetto confina in una ex caserma fuori mano (rompendo la continuità tra museo e Accademia che è uno dei grandi atout di questa istituzione) mentre i lavori, che forse cominceranno solo tra un anno, serviranno soprattutto a creare spazi da destinare a promozioni private di sapore commerciale per coprire finanziamenti che lo Stato promette ma non dà. Così Macao ha permesso ai cittadini di Milano, e non solo, di venire a conoscenza di queste scelte, di discuterne, contestarle e prendere posizione.
Con queste premesse c’è solo da augurarsi che Macao continui a crescere e che le occupazioni si moltiplichino. Purtroppo a esigere questi sgomberi non sono stati solo i vandali di Lega e PDL, la burocrazia di Stato che ha in custodia l’edificio (e secondo cui l’occupazione era una congiura per bloccare “lavori” fermi da quarant’anni) e, ovviamente, la componente più oltranzista del PD. Si è riscontrata con rammarico anche una diffusa ostilità, dai toni accesi e a volte inaccettabili, tra molti esponenti dei comitati per Pisapia (ora trasformati in Comitati per Milano) che ora sembrano considerre quelle occupazioni un attacco all’operato della Giunta, mentre Macao avrebbe potuto, e potrebbe ancora, dare una spinta decisiva verso forme più aperte di coinvolgimento della cittadinanza; soprattutto per superare l’immobilismo dell’Assessorato.
In secondo luogo, Macao non cerca solo luoghi per il proprio lavoro (di qui gli equivoci sul rifiuto di accettare uno spazio nelle ex Officine Ansaldo, offerto dalla Giunta per “calmare le acque”). È alla ricerca di una vera politica culturale – ora del tutto assente – all’interno della quale si aprano spazi di ricerca e opportunità di azione per il “saper fare” di migliaia di giovani acculturati, creativi, altamente “informatizzati” e “connessi”, oggi condannati alla disoccupazione, al precariato, al lavoro sottopagato negli studi di professionisti che li sfruttano senza dar loro, né essere in grado di dar loro, niente; anche perché nella maggior parte dei casi i loro “saperi” sono irreversibilmente inquadrati nell’orizzonte speculativo e omertoso dei rapporti di potere vigenti. Eppure le opportunità per questo esercito di “creativi” alla ricerca di un percorso da condividere non mancherebbero: basta pensare che le quattro più quotate scuole di design della città (e praticamente anche d’Europa) erano pronte a entrare nella torre Galfa, se non fosse stata sgomberata, per tenervi dei seminari: e non (solo) per un atto di benevolenza, ma perché sanno che è in processi come Macao che si sviluppa la potenza della creatività diffusa.
In terzo luogo gli occupanti di Macao sono effettivamente, in grandissima maggioranza, giovani e molto giovani. E sono stati attratti in migliaia, come da una calamita, a sostenere l’occupazione sotto la torre Galfa e a Palazzo Citterio: questo dovrebbe far riflettere partiti, associazioni e organismi politici, spesso prevalentemente frequentati (compresa la neonata ALBA) da persone mature o decisamente anziane come il sottoscritto. Il mondo di domani si costruisce in eventi come questo o non si produce affatto: con la prospettiva di restare per sempre sottomesso alla gerontocrazia finanziaria che governa il mondo: certamente coadiuvata da un esercito di giovani rampanti, da cui non c’è però non da attendersi niente di buono. Porsi in ascolto di processi come questo è indispensabile se si vuole ricostruire un ponte tra generazioni che il trentennio craxiano e berlusconiano ha reso reciprocamente estranee. E anche se si vuole mettere alle strette chi lavora a “deprimere” e reprimere un’intera generazione, denigrandola come priva di idee, di cultura e di “desiderio”; e trattandola come prigioniera di pulsioni a quel “godimento” senza regole né limiti prospettato dal consumismo. Quella prigione esiste davvero; l’hanno costruita le generazioni precedenti (compresa, in parte, la mia) e vi hanno rinchiuso dentro quelle successive, facendo di quella prigionia un alibi per la propria passività e – spesso – il proprio asservimento. Ma il teatro Valle, Macao e le tante occupazioni in corso dimostrano che tra le nuove generazioni il desiderio di liberarsi da questa gabbia c’è; e che è culturalmente molto più agguerrito di quello che si pensa.
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