Guido Viale e la “conversione ecologica” (Ambiente Emilia-Romagna, 2012)
Contributo della Redazione di Ambiente Emilia-Romagna
Guido Viale, economista, giornalista e studioso di tematiche ambientali è da poco uscito in libreria con “La conversione ecologica”. Cerchiamo di approfondire con lui le prospettive e le caratteristiche di questo scenario. Scenari di sviluppo diversi da quelli odierni si stanno rendendo necessari già da qualche decennio: oggi più che mai la situazione si fa critica e i cambiamenti diventano urgenti. Ne “La conversione ecologica” Guido Viale sviscera spunti e opportunità, ostacoli e “assurdità” dell’economia attuale, locale e non solo, individuando elementi da valorizzare, politiche da attuare, e strumenti, come l’automobile, ai quali rinunciare già fin da ora. E indicando alcuni passi concreti e provocatori dai quali partire: ad esempio smettere di fare educazione ambientale.
Guido Viale, è possibile considerare la crisi economica contingente non come un ostacolo allo sviluppo ma anche come un’occasione per uno sviluppo diverso?
In realtà ogni momento è il più opportuno o per fare delle scelte ambientali, perché sono, oggi più che mai, urgenti. Naturalmente la crisi economica crea opportunità ma anche difficoltà: ad esempio la mancanza o restrizione dei finanziamenti per qualsiasi programma di conversione ambientale.Nel caso italiano poi la crisi economica sta purtroppo portando al progetto di privatizzare tutti i servizi pubblici, in particolare quelli locali: si dovrebbe invece cominciare proprio da queste istituzioni che sono così vicine ai cittadini a costruire un modo diverso di gestire questi servizi.
Nel suo libro si legge che la conversione ecologica è un’utopia concreta. Come metterla in pratica?
Serve innanzitutto un via e non sarà un processo né istantaneo né lineare. Però mai come in questo momento, in cui le prospettive di crescita economica lungo i binari di sempre sono messe fortissimamente in forse anche dalle persone e dalle politiche che l’anno perseguita fin adesso, il progetto di una conversione ecologica che rispetti l’ambiente e contemporaneamente risponda alle esigenze e ai bisogni della maggioranza dei cittadini del pianeta diventa della massima attualità.
In questo processo di conversione ecologica, cos’ha l’automobile che non va?
Tutto. L’automobile è un mezzo di trasporto individuale, che sopravvive nonostante sia molto costoso in termini economici, sia per chi la possiede e la usa che per l’ambiente e per le finanze pubbliche. È un consumo individuale in un momento in cui è assolutamente necessario per risparmiare risorse ambientali e denaro e ricorrere di più al trasporto condiviso. Poi è diventato nel corso del suo sviluppo anche un mezzo di guerra, perché circolano delle auto che a parte il loro prezzo sono micidialmente veloci oltre i limiti della sensatezza e della legge, pesanti e con un impatto ambientale che è decisamente superiore alla ragionevole sostenibilità. Oggi esistono tecnologie per fare a meno dell’auto privata: sarebbe opportuno usarle per trasportare tutti in maniera più comoda rapida e economica.
Quale può essere il ruolo della ricerca in questo processo?
Il ruolo della ricerca, e quello dei saperi in generale, è fondamentale. In particolare è necessaria una ricerca che lavori sui temi determinanti della conversione ecologica: energia, agricoltura, alimentazione, salvaguardai del territorio, urbanistica, mobilità, gestione delle risorse, educazione ed istruzione. Si smetta dunque di parlare di ricerca in generale e si definisca una ricerca orientata su questi temi ed obiettivi. Questa ricerca poi deve essere condotta il più possibile a contatto diretto con i protagonisti della riconversione: imprese, amministrazioni locali, associazioni e organizzazioni dei cittadini e nel caso specifico degli studenti e dei ricercatori che devono giocare un ruolo fondamentale in questo campo, e quindi non essere massa di manovra per i docenti e gli accademici di alto rango, ma poter intervenire direttamente sull’orientamento degli studi e delle ricerche.
C’è un ruolo anche per la ricerca umanistica?
Assolutamente. Questa divisione tradizionale fera scienze della natura e dello spirito, fra scienze dure e humanities non ha ragione di esistere. D’altronde l’ambiente è un tema unificante perché richiede competenze tecniche di carattere naturalistico, chimico, fisico e biologico ma senza la capacità di intervenire e di coinvolgere i protagonisti di ogni possibile riconversione con motivazioni forti di carattere umano e umanistico non c’è nessuna prospettiva di cambiamento.
Come fare allora educazione ambientale oggi?
Smettendo di farla. L’educazione ambientale non deve essere una materia fra le altre, come l’educazione civica, l’educazione sessuale o quella religiosa e così via, ma deve essere una competenza trasversale che attraversi tutte le altre discipline, non solo quelle della scienza della natura e della terra ma anche e soprattutto quelle di carattere umanistico, dove il rapporto dell’uomo con il mondo in cui vive deve tornare a esse messo al centro.
Da dove cominciare a recuperare la territorialità che abbiamo perso e che lei ritiene essenziale per la conversione ecologica?
Dal dare peso e credibilità ai comitati, alle associazioni e alle iniziative di base che si pongono obiettivi di recupero di questa dimensione. Sono tantissime in Italia e nel mondo, spesso scollegate e poco coordinate, inseguendo ciascuno nel proprio specifico i propri obiettivi particolari. Ma è necessario che si formi un fronte compatto di queste iniziative, attraverso il coinvolgimento delle amministrazioni locali e che questo fronte possa avere voce in capitolo in maniera proporzionale alla consistenza effettiva di queste forze.