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I No Tav di Gezi Park (“Left”, 15 giugno 2013)

Inserito da on Giugno 17, 2013 – 10:55 amNo Comment

Non era passato un giorno dalla trasmissione, a Ballarò, di un filmato sul rinnovamento urbanistico di Istanbul (un terzo ponte sul Bosforo, un tunnel che lo attraversa sotto il mare, un nuovo canale che lo duplica, case di lusso, alberghi a cinque stelle, immensi centri commerciali) e di un duetto tra Giovanni Floris e Alessandro Sallusti che deprecavano che in Turchia le cose si potessero fare “in sei mesi” mentre in Italia non si riesce a fare una galleria tra Torino e Lione da ventitré anni per l’ideologia retrograda degli abitanti della valle di Susa, quando è scoppiata la rivolta di Gezi Park: tantissima gente, soprattutto giovani, abitanti della nuova Istanbul, che al grido “No a una città come Dubai”‘, si oppongono al taglio degli alberi del parco e alla demolizione del vecchio bazar per costruire al suo posto un immenso centro commerciale e un grande hotel. Sembra che le Grandi Opere non siano più popolari neanche là. Infatti la rivolta si è subito estesa a tutto il paese: mentre scrivo le città coinvolte sono oltre settanta; i morti cinque; i feriti – dalla polizia – migliaia e altrettanti gli arrestati. Il tumulto non accenna a placarsi. I media si consolano spiegando che si tratta di una rivolta contro Erdogan e la deriva islamica del suo regime tirannico; e in parte è vero. Ma resta il fatto che gli occupanti di Gezi Park non vogliono che gli alberi vengano abbattuti; non vogliono che al posto del parco venga costruito un centro commerciale; non vogliono vivere in una città come Dubai, invidia dei modernizzatori a suon di cemento e asfalto di tutto il mondo. Sono come gli abitanti della Val di Susa e le migliaia di manifestanti che portano le bandiere NoTav in giro per l’Italia. Come i miliardi di abitanti della Terra che ormai sanno che “progresso” e “modernizzazione” trainati da Grandi Opere e distruzione del proprio habitat portano solo miseria e desolazione e non ricchezza e benessere. Non sono ancora il 99 per cento, perché anche Erdogan e la sua modernizzazione all’insegna di profitto e conformismo hanno i loro sostenitori, soprattutto tra quella parte della popolazione che non ne ha ancora sperimentato direttamente le conseguenze o quella che ci ingrassa sopra. Ma è folgorante l’evidenza di uno scontro di civiltà: non tra Occidente e Oriente; non tra Cristianesimo e Islam; non – solo – tra lavoro e capitale; e neanche solo tra ricchi e poveri (Erdogan, come tutti i tiranni, recluta le sue truppe tra la popolazione rimasta ai margini, soprattutto dell’istruzione e della cultura). Bensì tra chi ingrassa e consolida affari e potere distruggendo l’ambiente, la sua vivibilità, le relazioni sociali che in esso si sviluppano e chi invece ha capito che la vera ricchezza sta proprio in un rapporto non aggressivo con l’ambiente: una strada obbligata anche per una maggiore equità tra classi, culture, generi e generazioni diverse.

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