Il Brasile in rivolta (“Left”, giugno 2013)
Qualcosa sta veramente cambiando nel mondo se persino il Brasile si rivolta contro il calcio, che in quel paese, come in Italia, è quasi una religione, anche se meno trucida e senza manifestazioni di nazismo e razzismo. Naturalmente non è una rivolta contro il gioco del calcio, che in Brasile gode ottima salute; ma contro l’uso che di questa passiona nazionale cercava di fare la Presidente Dilma Rousseff: usarlo per giustificare un aumento del biglietto dei bus esteso a tutto il territorio nazionale, e contando sul fatto che la passione per il calcio avrebbe fatto ingoiare a tutti un balzello su un consumo sociale ed ecologico – il trasporto pubblico – che colpisce soprattutto i ceti urbani più poveri. C‘è un evidente parallelismo tra la rivolta popolare del Brasile e quella della Turchia, che mentre scrivo non accennano a spegnarsi. Per i commentatori mainstream che non hanno altro orizzonte mentale che la “crescita”, sono manifestazioni di un disagio provocato dal rallentamento dei tassi di crescita che accomuna Brasile e Turchia. Ma qualcosa non torna: la contestazione radicale delle politiche governative (e in Turchia di un vero e proprio regime) è indubbio in entrambi i paesi; ma avranno pur un significato i motivi per cui quelle rivolte sono nate e non ripiegano: là la difesa di un parco urbano e il rigetto delle Grandi Opere (ponti, sottopassi, grandi canali, centri commerciali, monumenti di regime) che stravolgono la vivibilità urbana; lì la rivendicazioni di servizi sociali, a partire da un trasporto pubblico più efficiente, contrapposta alla spesa faraonica per costruire stadi per visitatori stranieri, a cui i brasiliani poveri non avranno mai accesso. Quella messa sotto accusa in Brasile è una tipica politica di “economia dell’evento” (del Grande Evento, che fa il paio e viene usata per fare Grandi Opere) che lascia dietro di sé solo cemento, rovine, devastazione, strutture inservibili e debiti da ripagare: un modello che l’Italia ha già sperimentato con le colombiadi, con l’anno santo, con le olimpiadi invernali e adesso con l’expò: un “evento” che a sentire il Presidente del Consiglio Letta – e dietro a lui il sindaco Pisapia e i governatori lombardi promossi (Maroni) e trombati (Formigoni) – sarà decisivo per rilanciare l’economia di tutto il paese. Quando le prospettive di uscita dalla crisi vengono affidate a progetti del genere vuol dir che la cultura economica e quella di governo hanno raggiunto il grado zero. I brasiliani lo sanno e cercano in ogni modo di non farsi trascinare nella spirale che sta portando l’Italia a fare compagnia alla Grecia (che di Grandi eventi, ovvero di Olimpiadi, ne sa qualcosa).
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