Il mondo dei vivi
Le informazioni che trapelano dall’inchiesta Mafia Capitale hanno la valenza di un carotaggio, nel tempo e nello spazio, degli strati di cui è composta la società italiana. Al di là delle ripartizioni dei suoi abitanti per professione, reddito o classe, infatti, anche la società dell’Italia repubblicana, come il mondo di Mafia Capitale, è da tempo suddivisa in tre strati dagli incerti confini: il mondo dei morti, quello dei vivi, e quello di mezzo.
Il mondo dei morti, cioè sotterraneo, è una rete che collega nel tempo e nello spazio la mafia, i servizi segreti, la criminalità organizzata (di cui la banda della Magliana è stata l’espressione nazionale, e non solo romana, più tipica, ma non la sola), la massoneria, il Vaticano e lo squadrismo neofascista. Dalla strage di Portella della Ginestra al colpo di Stato del generale De Lorenzo, alle stragi di Piazza Fontana, piazza della Loggia, della stazione di Bologna e dell’estate del 1993, fino all’ascesa di Berlusconi, miliardario con capitali di incerta origine, e su, su fino ai giorni nostri, la storia italiana non solo è costellata di episodi che vedono variamente coinvolte tutte quelle componenti. Ma quegli episodi non sono che punti di emersione di una trama continua che ha determinato o condizionato l’evoluzione politica della Repubblica assai più di partiti e sindacati, o di Confindustria, Banca d’Italia, Commissione europea o Bce. È quello il sottosuolo della storia patria, il mondo dei morti (peraltro più vivi e vegeti che mai) di cui parla Massimo Carminati nelle sue intercettazioni.
Il mondo dei vivi (molti dei quali ridotti da tempo allo stato di larve), invece, è certo più visibile e trasparente, perché sta alla luce del sole. Ma è più difficile da descrivere e non è facile da oggettivare, perché ciascuno di noi in qualche modo e in varia misura ne fa parte. Ma il mondo dei vivi ha indubbiamente i suoi terminali, abilitati ai rapporti, seppure indiretti, con il mondo dei morti, nella “politica” (tutta, o quasi), nell’imprenditoria (idem), nelle posizioni apicali della pubblica amministrazione e nella finanza: i luoghi del comando palese sul nostro lavoro e sulle nostre vite.
Il mondo di mezzo di Carminati e sodali è l’interfaccia tra quei due territori ed è il più difficile da circoscrivere, perché non si sa mai esattamente quanto uno stia di là e quanto di qua del suo confine superiore o inferiore; e da quando, dato che nel mondo dei morti si entra solo a una certa età, e magari con un’altra storia alle spalle. In questo esercizio è tanto facile sbagliare o prendere delle cantonate quanto lo è dire di averle prese (come fanno tutti quelli colti con le mani nel sacco anche quando sapevano benissimo come stanno le cose).
La loggia massonica P2 di Licio Gelli è stata per molti anni – soprattutto quando quasi nessuno ne parlava, e ben pochi sapevano che cosa fosse – il paradigma di quel mondo di mezzo. Aveva attratto generali, magistrati, imprenditori, politici (ogni corrente democristiana e socialista aveva in essa un suo referente; e molti di loro sono ancor oggi “in pista”), ma anche spie, capi fascisti ed esponenti della malavita. E’ storia, ma se vogliamo farci un’idea di che cosa sia oggi il mondo di mezzo, è a quelle vicende, mai veramente concluse, che possiamo far riferimento.
Nel frattempo il mondo dei vivi è cambiato parecchio; si è fatto più complicato e l’analisi sociale – ma anche l’idea che ci facciamo della società, parlando con chi frequentiamo, leggendo il giornale, guardando la televisione o con internet – non ci aiuta a ricostruirne i connotati. Mentre il mondo di sotto, invece, è sempre quello: ogni tanto gli viene assestata una mazzata; ma poi si riprende e torna all’opera quanto e come prima.
A “democratizzarsi”, per adattarsi ai tempi, è stato soprattutto il mondo di mezzo: trenta o più anni fa non ci saremmo mai aspettati di trovare, in una vicenda così emblematica come Mafia Capitale, delle imprese sociali costituite per dar lavoro ai detenuti; né il personale politico del Pd – epigono di quel Pci sulla cui “diversità” già Berlinguer aveva cominciato a nutrire dei dubbi – impegolato in una rete di malversazioni in associazione con delinquenti e caporioni fascisti; né il presidente della Lega delle Cooperative – oggi ministro – che banchetta e conversa confidenzialmente con la stessa compagnia.
Troviamo così, a gestire l’emarginazione e lo sfruttamento feroce di rom, sinti, migranti e profughi, una costellazione di cooperative controllate dalla “29 giugno”, cuore di Mafia Capitale, nate per offrire un percorso di riscatto agli emarginati creati dal carcere. E troviamo alla guida delle manifestazioni o degli assalti contro i ricoveri dei profughi e i campi dei nomadi (per alimentare il lucroso ed eterno carosello di sgomberi e reinsediamenti) gli stessi fascisti che, complice la rete delle relazioni consociative con il Pd, riescono a lucrare, sia in politica che in campo economico, tanto sulla loro “accoglienza” che sulla loro cacciata. Così viene consegnata nelle loro mani la partita più delicata di tutta la politica italiana: un capolavoro! Nessuno stupore, allora, per l’irresistibile ascesa di Salvini e company.
È difficile sostenere che per il Pd si tratti solo di incidenti di percorso, quando tanti esponenti del partito ne risultano foraggiati per le loro campagne elettorali, o per le primarie, o per la loro apoteosi di leader (le tre attività a cui si è ridotta la vita del Pd). Il tutto dopo aver messo il finanziamento della politica interamente nelle mani di chi, non importa come, i soldi ce li ha. Ma dopo che vicende simili, anche se meno spendibili come romanzi noir, sono emerse a Sesto, in Valle di Susa, a Milano, a Venezia, a Napoli, a Messina e altrove, come si può ancora proporre di votare o allearsi con il Pd per rendere la società più giusta?
Ma c’è un problema ancora più serio: dove finisce quella ragnatela? Tutto il “mondo dei vivi” ne è in qualche misura inquinato, anche quando è impegnato in progetti mille miglia lontani dai forni dove si cuoce quella minestra. Per molto associazionismo e molto volontariato, ma persino per alcuni centri sociali che sono l’antitesi di quei forni, sarebbe difficile continuare a operare senza beneficiare di affidamenti, incarichi, sostegni o facilitazioni che fanno capo a quella rete di connivenze, e che rendono difficile denunciarla e combatterla anche quando se ne conosce o sospetta la natura. Il terzo settore non è certo fatto di imprese criminali come la cooperativa 29 giugno; ci sono migliaia di imprese sociali mille volte più pulite; e persino all’interno della 29 giugno non sarebbe forse difficile trovare imprese, soci o lavoratori dediti alle finalità per cui sono stati reclutati.
Ma persino i partiti “alla sinistra del Pd”, pieni di militanti volenterosi, hanno spesso legato la propria sopravvivenza al proprio insediamento ai margini di una giunta locale o regionale, o in seno a una società partecipata, o al finanziamento di qualche loro iniziativa. Così, in un regime di risorse scarse, cresce tra tutti una competizione serrata per non perdere le posizioni acquisite; e per giustificare la propria esistenza; e quella dei propri apparati si ricorre spesso a sottili distinguo per differenziarsi e qualificarsi rispetto a tutti gli altri. Ma questo clima ha finito per contagiare anche organizzazioni che non hanno niente da conservare e nessun motivo per competere. Quando ci chiediamo come mai la sinistra italiana, e soprattutto i movimenti che essa vorrebbe rappresentare, sono così frammentati, una riflessione sulla condizione e la competizione a cui è stato sospinto “il mondo dei vivi” non sarebbe vana.