L’Altra Europa e la coalizione sociale di Landini
Sabato 14 marzo a Roma la Fiom ha riunito per la prima volta la coalizione sociale che ha in progetto. E’ un importante punto di partenza con cui molti di noi dovranno confrontarsi: riunire ciò che fermenta nella società e che può – oggi – concorrere a costruire un fronte di opposizione alle politiche liberiste e antidemocratiche dell’Europa – e a quelle di questo come dei precedenti governi italiani. E – domani – concorrere a costruire la base sociale di un governo radicalmente alternativo.
Le ragioni che hanno spinto la Fiom a imboccare questa strada – che peraltro era già stata tentata, in modo più generico, con la manifestazione dell’11 ottobre del 2011 e la costituzione del raggruppamento Uniti contro la crisi – sono chiare, anche se Governo e media hanno cercato di travisarle puntando il dito sull’ipotesi della costituzione di un nuovo partito. Il fatto è che con la riduzione dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori, la fabbrica e l’azienda da sole non sono più il terreno privilegiato di un conflitto capace di arginare prima e di invertire poi le tendenze in atto. I protagonisti di queste battaglie, e il terreno di questo scontro sociale, vanno cercati anche fuori da fabbriche e aziende, là dove le strutture tradizionali del sindacato non riescono ad arrivare, ma dove embrioni di organizzazioni, per lo più a base professionale, territoriale, culturale (in senso ampio), o addirittura religiosa o ricreativa, hanno cominciato a far sentire la propria voce e, in alcuni casi, addirittura a cambiare natura, per farsi più conflittuali. Ma è un universo disperso, difficile da riunire e senza un punto di riferimento. Qui sta il ruolo fondamentale della politica. Politica intesa non – o non prioritariamente, né tanto meno esclusivamente – come rappresentanza istituzionale; bensì come capacità di analisi, di ascolto, di mediazione, di ricerca di soluzioni capaci di mettere insieme ciò che finora è stato diviso. Ed è soprattutto a livello territoriale che questo progetto può trovare le gambe su cui marciare, perché quella di cui si parla è una politica che vive nelle cose concrete – lotte, ma anche progetti, iniziative, cultura, esperimenti di altra economia – che si fanno o che si possono fare dentro una aggregazione di organismi, associazioni o movimenti sociali; e che sempre meno si fanno invece dentro le strutture irrigidite dei partiti esistenti. Anche in quelle dei partiti e delle correnti “a sinistra” del PD di Renzi, perché degli altri partiti non è nemmeno il caso di parlare come possibili interlocutori di questo progetto. Ma di molti dei loro elettori, come della gran parte di coloro che si astengono dal voto, certamente sì.
Per questo, dalla coalizione sociale promossa dalla Fiom i partiti, per lo meno in questa fase, sono stati esclusi; e con essi anche L’Altra Europa (la cosiddetta lista Tsipras, che lo scorso maggio ha portato nel Parlamento Europeo tre dei suoi candidati) perché, agli occhi di Landini, anche L’Altra Europa viene ormai assimilata a un partito: il terzo di una nuova piccola “triplice”, come si può plasticamente vedere in una foto pubblicata dal manifesto di sabato scorso: le bandiere di Sel, Rifondazione comunista e L’Altra Europa cucite insieme (con quella della pace, per far quadrato). Da questo punto di vista le valutazioni sulle recenti vicende de L’Altra Europa fatte da Landini coincidono con quelle di Rodotà: “un’occasione perduta” – se non una vera e propria “zavorra”.
Per L’Altra Europa ridursi a essere assimilata a un partito – soprattutto in conseguenze delle scelte imposte da un gruppo raccolto intorno a Marco Revelli, paradossalmente il principale teorico italiano della fine del partito novecentesco – non è stata una operazione felice. La degenerazione degli intenti iniziali, quelli di un progetto politico esente da condizionamenti partitici, è evidente. Chi avrebbe mai immaginato che per spiegare la linea politica di una formazione del genere, cioè il suo mancato incontro con la coalizione sociale promossa da Landini, si sarebbe ricorsi a un’espressione insensata, di puro stampo democristiano, come quella delle “convergenze parallele” inventata a suo tempo da Aldo Moro? Eppure sono state evocate anche quelle…
È questa una deriva in corso da tempo. Perché la proposta di dar vita a una coalizione sociale era già stata avanzata all’Altra Europa da Stefano Rodotà il 7 giugno scorso ed era poi stata ripresa in numerosi documenti che hanno attraversato il dibattito interno alla lista nel corso di molti mesi. Ma quella proposta era stata poi bocciata senza mezzi termini alcuni mesi fa, contrapponendovi un altro progetto: quello di un “soggetto politico unico” – poi riformulato in “casa comune della sinistra e dei democratici”, con l’esplicita intenzione di mettere insieme, per l’ennesima volta, le membra sparse dei partiti della sinistra cosiddetta radicale: segnatamente di Sel, allora alla vigilia della sua “convention” Human Factor, e quel che resta di Rifondazione comunista, ormai lacerata in mille spezzoni. In sostanza, trasferendo dal piano sociale a quello politico – e poi, beninteso, partitico – quel bisogno di unità che si avverte sempre più spesso tra le persone che vorrebbero opporsi con più forza alle politiche economiche, sociali e antidemocratiche del Governo Renzi. Non si è cioè capito che in una coalizione sociale la dimensione politica è implicita, perché si tratta di mettere insieme cose distanti e a prima vista a volte anche incompatibili. E fare politica in questo modo è proprio il compito per cui era nata L’Altra Europa. Ma non è vero il contrario: fare politica non significa necessariamente aggregare forze sociali; anzi, spesso il suo esito è il contrario. E i partiti della cosiddetta sinistra radicale, a partire dall’uso che fanno della loro identificazione con un concetto sempre più vago ed “elastico” di sinistra, sono diventati per lo più dei recinti che escludono invece di includere.
Molto tempo è stato perso in questo modo, e soprattutto sono state perse molte persone per strada. Ma si possono ritrovare, e con loro, ritrovarne molte altre. Il vantaggio di lavorare a una coalizione sociale invece che a un soggetto politico è che la coalizione sociale non ha un unico centro, un’unica sala di comando, come quella ventilata nell’Altra Europa con il cosiddetto Big Bang delle sinistre, o da Sel con Human Factor. Una coalizione sociale ha molti centri da cui partire. E il lavoro che spetta a un’organizzazione come l’Altra Europa, che non è un movimento sociale, ma non è neanche e non vuol essere un partito, né voleva essere un’aggregazione di partiti, è proprio quello di lavorare per mettere insieme istanze lontane e anche contraddittorie. Senza accettarle così come sono, ma anche senza escluderle. Per esempio, pratiche radicali e anche estreme come quelle delle lotte della Val di Susa con le istanze legalitarie di Libertà e Giustizia o di Libera; il movimento No-expo – che rappresenta oggi una importante organizzazione di precari di livello europeo – con un sindacato tradizionale come la Fiom (ma certo non con chi sta lavorando al greenwashing di una delle maggiori manifestazioni dello spirito del tempo: la sussunzione sotto l’ala delle multinazionali dei temi vitali per la sopravvivenza del pianeta: cibo, acqua, uso del suolo, energia, lavoro), ecc.
Sono in molti, oggi, dentro L’Altra Europa, ma anche in quei partiti, coloro che sentono il bisogno di riportare il livello decisionale là dove si prendono le iniziative e si svolgono le pratiche di ricomposizione di un nuovo tessuto sociale. Coloro che vorrebbero riprendere l’iniziativa per tornare a rivolgersi direttamente alle persone: “prima le persone” – il claim de L’Altra Europa – significa che le politiche, anche quelle generali, di livello europeo, come la lotta contro l’austerità o per l’inclusione, o planetario, come quelle sul clima o contro le guerre, si fondano sulla convinzione e sulla partecipazione personale. Solo così L’Altra Europa potrà riprendere il filo conduttore del progetto che l’ha fatta nascere.