L’erede di Francesco
Forse nessun papa come Francesco ha suscitato il bisogno di una riflessione profonda e sentita su sé stessi e sul mondo non solo in una parte consistente del cattolicesimo, ma anche tra un grande numero di non credenti. Ma difficilmente un papa ha suscitato anche tanta ostilità: non solo tra coloro di cui contrastava apertamente pensiero e azioni su questioni centrali come migrazioni, guerre, clima, diseguaglianze, tecnica, economia e tanti altri; ma anche e soprattutto in buona parte della gerarchia ecclesiastica e in Vaticano, vero covo di malaffare, cinismo e mancanza di spirito evangelico. Cose con cui Francesco ha dovuto fare i conti con cautele da papa, soprattutto sui temi cosiddetti “sensibili” come aborto, fine vita, genere, divorzio, sacerdozio femminile e laico, ecc., che i suoi avversari (ora in attesa di una rivincita) hanno sempre anteposto a quelli evangelici della cura del creato, delle vittime, dei poveri, degli emarginati, dei sofferenti. D’altronde non c’è politico che non abbia reso un omaggio formale a papa Francesco e alla sua enciclica Laudato sì, e che non torni a renderlo in quest’ora della sua morte. Ma non ce n’è uno solo, in tutto il mondo, che ne abbia preso il messaggio in seria considerazione.
Il suo pontificato è stato ininterrottamente caratterizzato da iniziative e gesti che ne sottolineavano i messaggi: dalla visita a Lampedusa in ricordo dei migranti lasciati morire in mare al cammino solitario in piazza San Pietro per promuovere la solidarietà al tempo del covid; dalla celebrazione del giubileo in un paese africano e nel carcere di Rebibbia agli incontri effettuati o solo tentati per cercare di por fine alle guerre in corso. Ma tutte le sue iniziative e i suoi viaggi sono stati sorretti e guidati da una vera e propria rivoluzione della tradizione cattolica: da un cristianesimo che ha spinto al centro di questa nuova visione non il dominio dell’uomo sul resto del mondo, ma la cura del creato: unica autentica cornice del rispetto della vita in tutte le sue manifestazioni, della nostra Terra sofferente, dell’essere umano (Francesco non lo indica mai con il termine uomo, per non escludere la donna), non signore ma custode del mondo.
E’ questo il contenuto centrale dell’enciclica Laudato sì (2015), un documento straordinario soprattutto per la compattezza con cui sono stati riuniti in poche pagine, con semplicità e chiarezza pari solo alla profondità, tutti i problemi fondamentali del nostro tempo. Molti dei temi trattati si ritrovano già, in vari modi, in elaborazioni dell’ecologia profonda e dell’ecofemminismo, che Francesco ha saputo raccogliere e rielaborare, insieme ai tanti spunti fornitigli dalle culture indigene dell’Amazzonia, a cui ha voluto dedicare addirittura un sinodo, finalizzato a ”inculturare” – è il termine usato: cioè innestare – il messaggio evangelico nella sensibilità per la natura di popoli fedeli a costumi e credenze tradizionali. Ma non è solo – come è stato detto – l’essere state enunciate da “un capo di Stato” ad aver reso così importanti le verità di quell’enciclica, bensì il nesso inscindibile che essa ha saputo tracciare tra giustizia ambientale e giustizia sociale, tra “il grido della Terra” e quello degli oppressi, tra l’urgenza di salvare e risanare l’ambiente e le rivendicazioni e le lotte dei poveri della Terra.
Quell’enciclica forse è stata letta più dai non credenti che dai cattolici: questa almeno è la nostra esperienza di cultori, divulgatori e interpreti dei suoi contenuti, impegnati nella loro articolazione in ogni angolazione sia della vita quotidiana che dei grandi eventi politici, sociali, climatici e ambientali, in qualità di attivisti dell’associazione Laudato sì, che abbiamo fondata pochi mesi dopo la sua pubblicazione. Un documento la cui lettura va integrata almeno con altri tre: il discorso tenuto nel 2014 al primo incontro dei movimenti popolari, un vero e proprio incitamento rivolto agli ultimi a battersi per i propri diritti; l’enciclica Fratelli tutti (2020), progetto e perorazione di un assetto sociale fondato sulla solidarietà e la condivisione e non sulla competizione e l’appropriazione; e l’esortazione Laudate Deum (2023), un ultimo e quasi disperato richiamo a ricordarsi della crisi climatica, rivolto a tutto il mondo, ma soprattutto ai potenti della Terra, in un tempo in cui la corsa a fare la guerra ha fatto dimenticare quasi a tutti che il nostro mondo è sull’orlo di un baratro.
Ma in tutti questi documenti, come in tutte le circostanze in cui l’attività di Francesco è stata resa pubblica, non è mai mancato il tratto della delicatezza, della attenzione, della disponibilità e anche della verve – compresa la sua penultima comparsa avvolto in un poncho, un abito sicuramente più adatto ai successori di Pietro – che ha distinto il suo pontificato da quelli di tutti i papi che lo hanno preceduto. Un tratto che lo ha reso il vero erede del santo di cui ha voluto prendere il nome.