Lettera di Guido Viale ai candidati e ai comitati della lista L’altra Europa per Tsipras
Milano, 9.06.2014
Carco di riportare sul piano dell’argomentazione un tema affrontato troppo male. Che la decisione di Barbara Spinelli di accettare un seggio nel Parlamento europeo – dopo aver dichiarato all’inizio e nel corso della campagna elettorale che non lo avrebbe fatto – possa suscitare critiche non solo legittime, ma anche comprensibili, è ovvio. Ma dovrebbero rimanere nell’ambito della buona educazione e del rispetto reciproco (“prima le persone”, proclama il nostro slogan: lo siamo tutte e tutti), soprattutto quando provengono dalle nostre file.
La critica più fondata, e la più condivisa, mi sembra essere che Barbara non ha mantenuto fede alla parola data. Non è una critica politica, ma ha un’indubbia rilevanza politica. Barbara dice di aver cambiato idea di fronte a un cambiamento sia del contesto che della sua posizione. Ricorda che cambiare idea si può; e che l’impegno che aveva preso era quello di annunciare in anticipo la sua intenzione di non impegnarsi nel nuovo Parlamento, esattamente come avevano fatto Moni Ovadia e Adriano Prosperi, mettendo a disposizione della lista nel modo più diretto i loro nomi, le loro facce, le loro storie. Non si trattava certo, come ha fatto rilevare, di stringere un “patto” con gli elettori mancando, del patto, la controparte. Anche di fronte a chi allora criticava quella scelta Barbara rispondeva che quelle dichiarazioni, sue e degli altri due candidati nella sua stessa situazione, riguardavano le condizioni del loro impegno nella campagna elettorale, e non avrebbero pregiudicato né il risultato elettorale della lista né il funzionamento della eventuale rappresentanza parlamentare conquistata. Niente di male se qualcuno non condivide queste argomentazioni.
Ma c’è un effluvio di indignazione – e di insulti nei confronti di una persona che ha contribuito più di ogni altra al successo della nostra lista; con tutto il rispetto per l’impegno e il contributo che ciascuno di noi ha dato in base alle proprie forze – o, nella migliore delle ipotesi, di sarcasmi che non invitano certo alla replica e all’argomentazione, che è violenza distruttiva nei riguardi della nostra impresa e che sembra non fermarsi di fronte a niente. Tanto che è difficile distinguere i commenti malevoli dei giornali e su internet, che ci hanno sempre osteggiato con il loro silenzio assoluto, per occuparsi di noi solo nei momenti di un contrasto (è il nostro mestiere! dicono, dimenticando che c’è una deontologia dell’informazione) dai peggiori interventi e dalle peggiori insinuazioni di chi ancora si considera parte della nostra comunità.
Se la decisione di Barbara Spinelli crea dei problemi – e indubbiamente li crea – bisognerebbe affrontarli tenendo la barra diritta (la “cura del processo”, come la chiama Corrado Oddi); non adoperandosi per fare affondare la barca. In questo clima, che in parte si intuisce navigando in internet, ma che sulle mail di Barbara Spinelli si sta rovesciando dieci volte più potente –accanto alle moltissime lettere argomentate di coloro che la sostengono nella sua scelta – è difficile pensare che una persona schiva come lei, non avvezza agli agoni oratori (non è un difetto), ritenga impossibile presentarsi in un’assemblea senza una adeguata protezione da parte dei garanti; che non c’è stata. Soprattutto perché la “torre d’avorio” in cui si sarebbe rinchiusa le è stata costruita intorno proprio da noi garanti, imponendole il silenzio fino a che non si fosse concluso in qualche modo il tentativo di arrivare a una soluzione condivisa tra tutte le parti in causa.
Quel tentativo aveva, sì, portato a un risultato importante: sia Fratoianni che Ferrero avevano concordato che Barbara Spinelli doveva comunque andare in Parlamento, perché questo era indispensabile per il bene della lista; ovvero perché era insostenibile il fatto che, lei disponibile, ne venisse esclusa. Ma in quel tentativo non si era poi provveduto, né da una parte né dall’altra, a coinvolgere Eleonora Forenza e Marco Furfaro. Se sono stati trattati come “carne da macello”, come dice quest’ultimo – ma mi pare un’espressione un po’ forte, perché in tal caso lo sarebbero stati anche tutti coloro che si sono adoperati in ogni modo a portare voti alla lista senza averne una ricompensa in termini di seggi – la responsabilità va ripartita in modo uguale tra entrambe le parti in causa. Purtroppo però quella “trattativa” prometteva chiaramente di prolungarsi alla calende greche e di mantenere sulle braci tutti, perché nessuno dei due interlocutori era disposto a rinunciare al “suo” parlamentare. Con le motivazioni più diverse: tutte legittime o per lo meno sensate, ma che non facevano che esaltare e mettere in evidenza che di spartizione effettivamente si trattava: tutti d’accordo a riconoscere prioritaria la presenza di Barbara Spinelli in parlamento; ma nessuno disposto a una rinuncia. Meglio rompere gli indugi piuttosto che arrivare e affidarsi alla roulette russa del sorteggio finale. Così anche ai garanti è stato imposto un aut aut: o rinunciare alla presenza di Barbara in Parlamento (e tutti l’hanno considerata una perdita insostenibile) o permetterle di assumersi la responsabilità di sciogliere il nodo in assoluta autonomia. E i garanti l’hanno assecondata. Barbara lo ha fatto nel modo più ovvio: scegliendo il collegio dove è residente, dove era capolista, dove ha avuto il numero maggiore di voti.
L’esito non sarebbe stato così traumatico se il caso non avesse voluto che i tre candidati si distribuissero – secondo quanto detto e ripetuto da innumerevoli protagonisti e commentatori – in base a un equilibrio da manuale Cencelli: un terzo a Sel, un terzo a Rifondazione e un terzo alla “società civile. Non mi stancherò mai di ripetere che la società civile non esiste (è un’antica idea di Hegel che ormai usa solo Paolo Flores); e meno che mai esiste “il partito della società civile”, portato in vita solo per inventarsi equilibri inesistenti. La società civile si affianca, e ormai soccombe, alla società incivile, decisamente preponderante; ed entrambe si spartiscono sia gli iscritti ai partiti che quelli che non lo sono (che però non amano vedersi affastellati in un unico raggruppamento parapartitico).
Ecco dunque le ragioni politiche – e dietro di loro quelle morali – per il cosiddetto “voltafaccia” di Barbara Spinelli, ovvero la decisione di rivedere le sue dichiarazioni iniziali. Barbara era la garante principale di un progetto unitario apartitico e inclusivo. Ma se il progetto si fosse trasformato, come in larga misura ha rischiato di fare già durante la campagna elettorale, e come oggi rischiava di fare in una spartizione di spoglie (un terzo, un terzo, un terzo) il suo ruolo le imponeva di interrompere questa deriva. E lo ha fatto, coinvolgendo i garanti, prima che la nostra delegazione nel Parlamento europeo si presentasse sotto forma di una riedizione di una “lista Ingroia con il quorum”. Non poteva finire così: ora siamo entrati in un gruppo parlamentare di dimensioni europee; abbiamo sfondato in Italia con le firme e con i voti, nonostante un silenzio stampa assoluto e una campagna calunniosa nei nostri confronti. Abbiamo davanti prospettive più serie e importanti.
Quello che il suo ruolo di garante le imponeva, Barbara lo poteva fare solo riportando l’attenzione su di sé come depositaria di un sapere e di un giudizio solido sui temi dell’Europa, che nessuno saprebbe trattare meglio di lei da parlamentare; ma soprattutto additando nel suo nome, nel suo lavoro e nella sua presenza in Parlamento, il carattere indiscutibilmente unitario della lista. Ora il risultato immediato sembra contraddire una scelta che è stata una vera assunzione di responsabilità verso gli elettori, verso la lista, verso i suoi attivisti, verso i garanti; ed è finita per passare – grazie soprattutto all’atteggiamento di chi non si è mai posto il problema: ma perché mai l’avrà fatto? – come un comportamento altezzoso di una signora rinchiusa (dai garanti) nel proprio castello. Quell’assunzione di responsabilità merita invece un riconoscimento, e un grazie, a Barbara Spinelli. Glielo dobbiamo tutti.