Lo stallo dell’Altra Europa
Cara Antonia,
non entro nel merito delle accuse che rivolgi al raggruppamento Noi (o ex-Noi, perché stanno cambiando nome), molte delle cui posizioni in gran parte condivido. Saranno loro a risponderti, se lo riterranno opportuno. Mi pare che per ora non ne abbiano alcuna intenzione, e fanno male. Diffida però delle ovazioni e delle adulazioni dei loro avversari come diffidi delle contrapposizioni muro contro muro: distruggono la politica e prima ancora la pre-politica: il sentirsi membri di una comunità di eguali.
Comincio dal fondo. Ho anche io apprezzato molto il libro di Daniela Padoan e Luca Cavalli Sforza. Non confondere però il “Noi”, di quella posizione politica, con il “noismo”: non c’entrano niente. Il noismo, ci spiega quel libro, non è razzismo; è una pulsione ineliminabile iscritta nel nostro codice genetico; ma se non viene tenuto a bada finisce per rinchiuderci in un recinto da cui è difficile uscire e, soprattutto, capire quello che succede fuori: al di là del recinto.
E’ quello che è successo all’Altra Europa. All’apertura verso un mondo fatto soprattutto di comitati, associazioni, movimenti, volontariato, iniziative culturali e soprattutto popolato da milioni di persone che non votano nemmeno più perché hanno schifo della politica, dei partiti e dei loro traffici (o votano per i 5stelle o addirittura per Salvini, non perché sono razzisti, ma perché non intravvedono più la possibilità di proiettarsi su un orizzonte più largo della mera protesta), ci si è concentrati e rinchiusi nel mondo meschino – e a volte mefitico – della sinistra a sinistra del PD (o anche dentro il PD), nel tentativo, per me vano, ma anche politicamente inutile, di riunirla; o, meglio, di riunirci ad essa. La “casa comune” – già soggetto unico – “delle sinistre e dei democratici” non è altro che questo. E’ la priorità data all’aggregazione delle sinistre partitiche rispetto a quella delle iniziative di cittadinanza o di conflitto sociale (dunque, a dispetto del nome, è il progetto di un noi blindato). E nelle sue imminenti manifestazioni alle prossime elezioni (vedi Liguria, ma non solo), rischia di essere anche peggio: un taxi per trasportare in qualche consiglio regionale un personale politico altrimenti difficilmente presentabile. Adesso infatti alle regionali ci si va; dopo aver detto per mesi che era sbagliato perché le Regioni non contano niente. Staremo a vedere…
E’ comunque un progetto che, come sai, ha una lunga storia fallimentare alla sue spalle. Stupisce quindi me non meno di te che a farsene promotore e sostenitore a oltranza possa essere Marco Revelli, il massimo teorico italiano della fine del partito novecentesco; e, direi anche, della fine del partito tout court; il teorico del “volontario” che prende il posto del “militante”. Come forse ti stupirebbe scoprire che Daniela Padoan, che tanto apprezzi, vede una forte manifestazione di “noismo negativo” proprio nella linea di condotta seguita dal comitato operativo dell’Altra Europa sia durante la campagna elettorale che, soprattutto, dopo le elezioni. Ma tant’è. Dovrebbe essere Marco a spiegarci le ragioni di questa sua conversione. Ma probabilmente dirà che non c’è stata alcuna conversione; e infatti adesso parla anche lui di coalizione sociale, che lo scorso dicembre era stata stroncata senza mezzi termini da coloro che lo hanno eletto a proprio ideologo ed estensore di tutti i loro documenti. Ma la sostanza del percorso politico imboccato dal “nuovo” comitato operativo resta comunque quella che è, e non cambia. La sua ridotta apertura all’esterno è solo il tentativo di “dare un rappresentato al rappresentante”, come l’ha sempre chiamata Alfonso Gianni. Un’espressione che dice tutto.
I risultati? Eccoli: avevamo raccolto (con alcune eccezioni, che a rigore di logica non avrebbero dovuto esserci, perché funzionari o dirigenti di partito) una lista di candidati di grandissimo valore, sia per il loro lavoro intellettuale, sia per il loro ruolo in tanti movimenti diversi. Ma di loro, a lavorare con L’altra Europa, non è rimasto quasi più nessuno. Avevamo raccolto intorno a noi il meglio dell’intellettualità italiana (più del PCI negli anni d’oro della sua epopea): studiosi, attori, registi, musicisti, scrittori, artisti. Nessuno di loro prova più alcun interesse per noi. Avevamo il sostegno o la simpatia dei principali movimenti del paese: Val di Susa, No Muos, No Dal Molin, No Mose, Beni comuni, ecc. Non abbiamo più rapporti con nessuno se non con alcuni esponenti del movimento dell’acqua interni fin dall’inizio alla nostra compagine. E alcuni (No Triv, No Expo) li abbiamo anche mandati bellamente a quel paese per non disturbare i partiti o qualche loro esponente (certo, quei movimenti hanno a volte posizioni politiche che possiamo non condividere; ma un confronto serrato con loro dovrebbe essere la linfa vitale della nostra organizzazione; come dimostra il comitato dell’Emilia Romagna, che quei rapporti li ha mantenuti, o instaurati, grazie soprattutto alla sua solitaria partecipazione alle elezioni regionali). Avevamo i nostri comitati pieni di “militanti” (o “volontari”) senza alcuna appartenenza politica; o con passate appartenenze a cui si erano sottratti, unendosi all’Altra Europa proprio perché vi vedevano un’alternativa a esperienze che li avevano bruciati. Non ne è rimasto quasi più nessuno. La maggioranza dei comitati sono ora in gran parte occupati da militanti di partiti, soprattutto di Rifondazione, che sembra aver trovato nell’Altra Europa un’alternativa alla sua evidente dissoluzione. Eravamo una piccola-grande speranza per il paese. Ci siamo ridotti a una cosa meschina, che nessuno è più disposto a prendere in considerazione, se non per portare avanti un proprio gioco di sopravvivenza. Avevamo un programma da sviluppare. I contributi all’approfondimento dei suoi punti fondamentali, durante e dopo la campagna elettorale, sia dal nostro interno – allora assai più ampio di ora – come dall’esterno, non sono certo mancati. Ma li abbiamo buttati alle ortiche: non abbiamo nemmeno creato un sito in cui raccoglierli e metterli in ordine in modo da renderli consultabili. Così oggi Alfonso Gianni continua a ripetere che L’Altra Europa un programma ce l’ha; e a lamentarsi perché nessuno lo prende in considerazione. E con programma intende un corposo papello che ha scritto durante la campagna elettorale, in assoluta solitudine (o consultandosi con qualche suo ex compagno di partito) e che giace da tempo in uno dei tanti angoli inviolabili del nostro sito. Non è quello, ovviamente, il modo di costruire un programma politico in forma partecipata, anche se Alfonso non riesce a farsene una ragione.
La ragione vera di tutto ciò è l’inseguimento di una unità a tutti i costi con i partiti superstiti della sinistra e con gli scampoli del PD. Ma anche, e soprattutto, il fatto che non sono mai stati attivati i gruppi di lavoro (e di studio): unica sede in cui avremmo potuto valorizzare, e dare il ruolo che spetta loro, al contributo dei tanti intellettuali che ci volevano appoggiare. Ma anche unica sede in cui tener vivo un rapporto con i movimenti che ci avevano sostenuto, facendone uno strumento per una elaborazione congiunta che li facesse uscire dalla dimensione settoriale in cui rischiavano, o rischiano, di soffocare. Non è stata casuale, né priva di conseguenze, la mancata attivazione dei gruppi di lavoro, che erano stati indicati fin dal luglio scorso come sede prioritaria di direzione della nostra comunità – e anche come sede di allargamento del confronto a quelle forze dell’antagonismo sociale che non ci avevano appoggiato nelle elezioni – e rispetto ai quali il comitato operativo, o chi per esso, avrebbe dovuto avere solo funzioni di coordinamento e di stimolo. E’ per questo che il nostro dibattito politico si è concentrato, in forme sempre più asfittiche e ringhiose, all’interno delle varie mailing list: trasformate, per chi ha continuato a seguirle, come me, in una vera e propria galera. E non è che ai gruppi di lavoro mai convocati il comitato operativo, prima o dopo l’assemblea di Bologna, abbia provato a sostituire qualcos’altro. Niente di niente. Ma è evidente che un organismo politico non può vivere, né tanto meno crescere, in un vuoto politico simile. Ricordati che per diversi mesi la manifestazione del 19 novembre – un vero fiasco – è stata coltivata e presentata come il momento di sintesi di tutta la nostra attività (passando disinvoltamente sui piedi di quei comitati e di quei compagni che si erano adoperati in mille modi per presentare alle elezioni regionali delle liste che facessero in qualche modo vivere L’Altra Europa nei loro territori). Adesso nessuno dirà più che le cose siano andate effettivamente così. Ma prova a fare mente locale.
Vengo ora a sapere che a Trento presentate una lista unitaria a cui partecipano anche Sel e Rifondazione e che tu sei candidata sindaca. Ne sono felice e ti auguro un buon successo. Ma ti pare possibile che a più di un anno dalla costituzione de L’Altra Europa una cosa del genere la si venga a sapere per caso? E che dalle Alpi a Lampedusa nessuno di noi sappia niente di quello che succede nelle altre regioni, e di quello che fanno gli altri comitati (e magari fanno delle cose egregie che potrebbero essere rifatte altrove)? Non è questo il massimo dell’accentramento? E per ciò stesso il grado zero della democrazia?
Non ne faccio – io – una questione di statuti; ma certo qualche regola, come peraltro avevo proposto fin dallo scorso agosto, e poi a settembre – e altri fin dallo scorso luglio – avrebbe reso meno asfittica la vita de L’Altra Europa. E avrebbero comunque impedito che da una organizzazione informe, che non può votare in assemblea perché “non si sa chi vi appartiene e chi no”, si passasse di botto all’indizione di un vero e proprio congresso di partito, con tanto di delegati eletti sulla base di un regolamento dell’ultima ora – e di senatori a vita con diritto di voto – senza nemmeno consultare sulle regole da seguire quel che resta dei comitati, cioè della cosiddetta “base”. A cui era peraltro stata prospettata un’assemblea di riunificazione con il resto della sinistra – il Big Bang della sinistra – e non la trasformazione de L’Altra Europa in un nuovo e striminzito partitino, senza nessuna capacità di incidere su una realtà sempre più complessa e drammatica.
Senatori a vita? Prova un po’ a vedere quali sono gli esponenti che dal comitato operativo del periodo elettorale si sono travasati senza soluzione di continuità in quello dei 221, e poi in quello operativo – e, in parte, in quello pre-assemblea, o in tutti e due contemporaneamente – per poi riconfluire nel comitato transitorio, senza mai sottoporsi a una verifica, e predisponendo infine tutte le condizioni per farsi rieleggere nella lista bloccata che verrà proposta all’assemblea di aprile. Certo, i componenti dei vari comitati erano molti di più; ma va un po’ a vedere quanti di loro partecipavano e partecipano a ogni riunione. E non sono assenti per caso. Perché anche L’Altra Europa è stata di fatto “privatizzata”: come tutto, d’altronde, in regime cosiddetto neo-liberista. Alla faccia della rotazione! Che certo non avrebbe impedito a nessuno che si fosse ritirato per cedere il suo posto di continuare a “rendersi utile” nei gruppi di lavoro. Se solo ci fossero stati… Guido Viale
“care e cari
fino a stamattina ero convinta di non dover scrivere una sola riga sulla faccenda della divisione interna sancita dalle dimissioni di cinque componenti del COT con una serie di ragioni che non sto ad elencare visto che ml e social network possono essere fonti di informazioni in merito facilmente accessibili.
Ho cambiato idea perché sto lavorando ad un testo, inviatomi da tre giovani ragazzi brillanti, educati ed umili, che sono candidati nella nostra lista unitaria per la comunali di Trento. Il testo riguarda la democrazia partecipata e diretta, punto di forza del nostro programma elettorale e mi ha colpito perché mentre lo leggevo pensavo a Mattia, Daniele e Jacopo e alla loro volontà timorosa di voler prestare energia, nome, volto ad una campagna elettorale che vuol essere solo un momento di presenza, di conferma, di visibilità, ma anche una competizione per iniziare a portare dentro le istituzioni la nostra voce ALTERNATIVA.
Leggendo ciò che hanno scritto e pensando a loro, mi è stato inevitabile il confronto con chi si sta assumendo, in queste ore, in nome di un concetto di democrazia partecipata ancora non del tutto chiaro, almeno a me, la RESPONSABILITA’ di scelte divisive e che non saranno comprese dalla maggior parte di elettori ed elettrici.
Non raccontiamoci troppe balle, compagni e compagne, la gente comune che non entra nei nostri circoli masturbatori e un po’ paranoici, individua la sinistra nei partiti che, almeno a parole, si propongono a sinistra dell’attuale PD e alla signora della lavanderia sotto casa non saprei spiegare che “NOI” dell’Altra Europa, con un noi che, come già detto, a dispetto del significato letterale del pronome, suona quanto mai divisivo, rappresenta la vera alternativa democratica perché contrasta la prevaricazione dei partiti nel progetto dell’AE.
Né tanto meno saprei spiegare, alla stessa signora che ha dichiarato di voler votare la nostra lista perché finalmente, dopo anni di lotte fratricide tra sel e prc in Trentino, queste forze di sinistra si propongono insieme all’elettorato, che in realtà la candidata sindaca, la sottoscritta, come componente del COT è una persona “antidemocratica” e portatrice di tutti quegli appellativi che “democraticamente” vengono sciorinati da chi si erge a paladina/o della democrazia. perché non mi riconosco in quegli appellativi, che mi feriscono un po’, ad esser sincera.
Un problema che ho, inoltre è che io il DOGMA della democrazia partecipata, che tra l’altro prevede liquid feedback o non è democrazia partecipata, non l’ho capito. Ciò che guida le mie valutazioni, personali e soggettive, è sempre la ricerca di coerenza, anch’essa soggetta ad interpretazioni personali, ma chi ha studiato materie scientifiche sa che la coerenza può essere riconosciuta in modo oggettivo analizzando le connessioni logiche.
Allora io vi chiedo di aiutarmi a trovare coerenza in chi sta mettendo in atto questo processo a mio avviso solo ed esclusivamente dannoso.
Un gruppo di persone, autodefinitesi democratiche, decide che il COT agisce in modo poco democratico e, se ho letto bene, opera scelte a colpi di maggioranza.
E’ da febbraio che Athos Gualazzi, preziosa presenza nel comitato di Rovereto, ma anche rilevante presenza nel gruppo dei “NOI”, ci tormenta con le sue giuste rimostranze verso la lentezza nel prendere decisioni dal momento che abbiamo scelto di non votare ed è costante la sua richiesta di ricorrere al voto online, tramite liquid feedback, come strumento di democrazia. ed è da sempre che io stessa continuo a ripetere, conoscendo il contesto della militanza trentina, che fluttua anagraficamente tra menopausa ed andropausa, che liquid feedback finirebbe con l’essere elitario, contrariamente alle intenzioni autentiche di garantire democrazia.
Nel COT, insieme finito di persone, si vota perché essendo insieme finito di persone, è possibile definirne la maggioranza. E il COT viene accusato di non essere democratico perché si vota.
Qui i miei neuroni vanno in tilt.
Votare è democratico o non è democratico? Se si vota si presuppone che la scelta venga effettuata sulla base della maggioranza o no? Questo è antidemocratico? Ciò su cui nelle riunioni del COT si decide di votare viene definito dopo lunghe e a volte estenuanti discussioni sia orali che in chat.
Posso sapere dove manca la democrazia in ciò?
Le cinque persone del “noi” nel COT (mi verrebbe da ridere a scrivere queste cose se non fosse drammaticamente serio) hanno sempre partecipato a volte dichiarando di non voler partecipare al voto, quindi delegando la scelta ad altre persone, a volte votando.
Sempre hanno sfidato la pazienza di tutte e di tutti non per i contenuti proposti, discutibili a volte, condivisibili altre, ma per i toni sempre OSSESSIVAMENTE polemici, OSTINATAMENTE oppositivi.
Il tormentone degli autonominati poi non lo reggo più.
Il COT è composto da rappresentanti dei territori tutte e tutti individuate/i in assemblee territoriali a volte sofferte e difficili, ma pur sempre attraverso discussioni DEMOCRATICHE, almeno quando le parti in conflitto hanno avuto l’onestà intellettuale di presentarsi e la volontà politica di risolvere il conflitto trovando DEMOCRATICAMENTE una soluzione. Oltre ai rappresentanti e alle rappresentanti dei territori, che sono la maggioranza numerica, c’erano le cinque persone dei “noi”. La maggioranza numerica è ancor maggiore rispetto allo zoccolo duro costituito dalle persone che sono dentro il COT come esponenti di partiti, come rappresentanti di continuità rispetto all’AE delle europee, come rappresentanti di realtà organizzate e importanti (penso a Raffaella Bolini e a Costanza Boccardi, per esempio).
Ha senso, dunque, parlare di un COT che prende decisioni a colpi di maggioranza precostituita e asservita ai dirigenti di partito? La domanda, giuro, non è retorica. La pongo per essere aiutata a comprendere perché ho dubbi sulle mie facoltà intellettive. Ho sentito accusare Marco Revelli, sentito con le mie orecchie, di essere a servizio delle dirigenze dei partiti e di voler portare l”AE verso un’esperienza come sinistra arcobaleno e sinistrati vari. Ma allora o Marco Revelli scrive bugie nei suoi testi, o Marco Revelli non sa scrivere e ciò che scrive non è la traduzione del suo pensiero o io non so comprendere i testi che leggo oppure, e spero che ciò non sia vero, chi accusa Marco Revelli di ciò non ha letto i suoi testi e parla di supercazzola.
Ma la supercazzola sarebbe accettabile se si stesse giocando al monopoli della politica.
Qui, gente, la cosa è seria e la responsabilità politica e intellettuale è tutta sulle nostre spalle, sia in termini di responsabilità collettiva che individuale. E a proposito di testi, forse prima di aprire bocca e parlare di supercazzola, bisognerebbe leggere tutto ciò che scrivono e che hanno scritto in ambito politico, non polemico, i nostri intellettuali e le nostre intellettuali.
Cito un testo bellissimo, letto di recente, che è, di fatto, la costruzione di un ponte tra linguaggio scientifico e umanistico, che si traduce in pensiero politico nel senso più nobile del termine.
Il libro a cui faccio riferimento è stato scritto in forma dialogica da un uomo, che per me rappresenta uno dei pilastri scientifici più importanti, Cavalli Sforza e da Daniela Padoan, che ho conosciuto solo di recente, in occasione di alcune assemblee dell’AE. Il libro parla di “noismo” ed a quel libro penso sempre quando leggo comunicazioni del gruppo definitosi “Noi-AE” o, forse ora, “prima le persone”
Il libro è complesso e articolato e non posso dilungarmi su considerazioni specifiche, ma vi invito a leggerlo. Suscita in me riflessioni sul significato del termine “noi” e sulla ricerca affannosa e continua, che caratterizza gli uomini, della definizione di identità a prescindere dalla conoscenza reciproca. La storia dell’umanità è ricca di testimonianze di questa urgenza che si è nutrita nei secoli di dogmi e pregiudizi verso gli altri, per cui la definizione del “noi” non può prescindere dall’esistenza degli altri, che diventano, di fatto, elementi necessari per descrivere un’identità basata prevalentemente sulla negazione delle cose altrui, soprattutto quando si diventa portatori di pretesa di ordinamento della molteplicità e gestori dell’alterità.
Può darsi che anche questo testo, che parla il mio linguaggio, quello degli evoluzionisti, non lo abbia compreso, perché vi ho letto declinati i rischi del “noismo” come espressione di prepotenza ed assunzione di verità. Perché vi ho letto il rischio settario di chi con il “noi” definisce una categoria, un recinto, forse perché al noismo ho sempre, da sempre, preferito l’altruismo
e mi piace ciò che scrive Daniela Padoan in calce all’introduzione “…il patromonio culturale, come il patrimonio genetico, si replica per mutazioni vincenti e per cieca riscrittura di codice, errori compresi, ma non è un destino”
Scusandomi per la lunghezza dell’email, che spero sia letta come una richiesta a tutte e tutti di umiltà e coraggio di negoziazione, come invito a non procedere testardamente, ostinatamente, verso scelte divisive e microparcellazioni (lasciamo la fissione degli atomi a chi è del mestiere!).
Aggiungo che contrastare ostinatamente i partiti, di cui, pur facendo i dovuti distinguo tra un partito e l’altro, riconosco debolezze, difficoltà ed anche tentativi a volte maldestri di tenersi in vita, attraverso la costruzione di un altro percorso, che, di fatto, diventa costruzione di un micropartitino, mi fa pensare che nulla di più vecchio ci sia in questo progetto alternativo all’alternativa: proporre la salvezza di un progetto unitario della sinistra attraverso la costruzione di un altro microrecinto, da affiancare ai tanti micropartiti.
Dejà vu, compagne e compagni!
Un abbraccio a tutte e tutti, senza recinti e senza dogmi
Antonia Romano – Trento
PS: consiglio anche un film meraviglioso “Viva la libertà” con un Toni Servillo e Valerio Mastrandrea (sublime), regia di Roberto Andò.
Troviamo il coraggio di essere folli, Suvvia!