Perché ho firmato la “premessa” e non ho firmato il “manifesto”
Perché ho firmato la premessa.
Anche io penso che un’assemblea sia un’assemblea, un luogo dove ci si confronta e si delibera, cioè si decide tra soluzioni alternative e se necessario si vota. Infatti avevo proposto che a far parte del nuovo comitato operativo provvisorio che dovrà uscire dall’assemblea del 17-18.1 – in attesa che tutto il corpo dell’Altra Europa si dia una struttura democratica – venissero elette/i, con parità di genere, i nomi più votati di una lista unica di candidate/i o autocandidate/i (una operazione che richiede non più di mezz’ora, senza creare nessuna contrapposizione).
E mi sembrava anche naturale che il dibattito potesse svolgersi mettendo eventualmente a confronto mozioni contrapposte. Ma l’opposizione a queste proposte nel gruppo dei 19 incaricate/i di preparare l’assemblea è stata talmente compatta (e anche pesante) da indurmi a desistere. In questa situazione invito tutti a fare altrettanto per evitare che l’assemblea degeneri in una rissa su “voto sì-voto no”, come era avvenuto sulla questione della presidenza alla nostra prima riunione dei 221. Sappiamo tutti che il clima al nostro interno non è dei più sereni. Ma non possiamo permetterci una cosa del genere. Per di più, di fronte ai media; perché siamo noi i sostenitori di Tsipras in Italia e finalmente la stampa si interesserà a quello che vogliamo e che siamo nati per fare. E’ una situazione obbligata in cui è purtroppo relativamente irrilevante stabilire se la responsabilità di un’eventuale rissa assembleare verrebbe a ricadere su chi vuole che si voti o su chi non lo vuole. Mi sono personalmente impegnato fin dal comitato operativo dell’8 dicembre ad adoperarmi perché a questa assemblea non si arrivasse con due o più percorsi separati e paralleli e perché il confronto tra posizioni diverse, o anche opposte, si svolgesse nel modo più corretto e unitario possibile. Così, anche se alla fine non ci sarà un voto formale, ci sarà spazio per far valere le opinioni di ciascuno illustrandole al meglio, non solo in assemblea, ma anche prima, fino al 14 gennaio. E anche dopo, perché l’adesione al manifesto non sarà obbligata (prendere o lasciare): si potrà proporre – via mail – modifiche del “manifesto” prodotto o anche altri documenti e aderire ad essi, sia prima che dopo l’assemblea (ma non metterli in votazione in assemblea). Molto dipenderà dalla qualità e dalla quantità delle osservazioni che arriveranno. Invito comunque tutti coloro che sono tentati di non partecipare all’assemblea perché non condividono questo modo di fare a non disertare questo incontro e a iscriversi a parlare in anticipo per far sentire la loro voce.
E’ vero, peraltro, come sostengono Revelli e altri, che il voto dell’assemblea finirebbe per essere abbastanza casuale, visto che a parteciparvi non saranno tutti gli aderenti alla nostra organizzazione. Questo però non trasforma un’assemblea in un evento (per farlo ci vuole almeno un nome in inglese). Ma se le cose stanno così, è anche perché in quattro mesi e mezzo (oltre a quelli persi tra giugno e settembre) il comitato operativo non si è mai adoperato perché L’Altra Europa si desse una struttura organizzativa democratica e riconosciuta – i comitati che ce l’hanno lo hanno fatto per conto proprio – e nemmeno, fino a poco tempo fa, perché almeno un censimento di questi comitati venisse fatto. Ricordo che in proposito le richieste inattese sono state numerose (compresa una, circostanziata, da parte mia, il 5.9.2014). Perciò trovo un po’ ipocrita invocare questa scelta – o non-scelta – a giustificazione di un ulteriore rinvio del momento in cui si potrà finalmente votare.
Perché non ho firmato il “manifesto”.
Complessivamente il testo del manifesto non mi piace: lo trovo poco incisivo, tale da non “scaldare i cuori” (cosa necessaria se si conta di ottenere decine di migliaia di adesioni), troppo pieno di espressioni in “politichese” nonostante la ripulitura a cui è stato sottoposto. In particolare non mi piaceva l’espressione “soggetto unico della sinistra e dei democratici” (poi corretto in “casa comune della sinistra e dei democratici”; ma il termine “soggetto unico” ricompare poche righe dopo) che già ricorreva nel documento originario di Revelli su cui abbiamo dibattuto per due mesi. Non mi piaceva sia per le implicazioni politiche di quell’aggettivo – ”unico”, a cui era stato chiesto, senza risultati, di sostituire “unitario” – sia per i termini “sinistra e dei democratici”, che trovo entrambi troppo generici per indicare alcunché di significativo (anche Renzi si proclama di sinistra e nessuno, o quasi, si dichiara antidemocratico).
Ma in una organizzazione, o in una comunità, come la nostra non si può pretendere che tutto sia come vorresti. Per questo l’avrei comunque firmato nonostante questi e altri dissensi. In realtà una diversa bozza di “carta di intenti” (il termine con cui fino ad allora si indicava la bozza della cui preparazione erano stati incaricati i 17) io l’avevo presentata fin dalla prima riunione del gruppo. Ma era stata unanimemente stroncata sostenendo che essa anticipava il risultato finale del “processo costituente”, prefigurando “il soggetto politico nuovo” (due termini che non compaiono nel testo che avevo predisposto) invece di permettere che esso si andasse delineando nel corso del processo stesso. Poiché non riconosco in quelle critiche niente che avesse a che fare con la mia bozza, continuo a pensare che sia stata stroncata soprattutto perché era stata ripresa quasi integralmente nel documento “Noi dell’Altra Europa”, firmato da Domenico Gattuso e altri/e 150 (ma non da me, che pure in gran parte lo condivido), fortemente critico nei confronti del comitato operativo. In quella bozza si delineavano tra l’altro gli aspetti fondamentali di un modo di procedere inclusivo:
“gli obiettivi generali non bastano: occorre, in ogni azienda, ente, città, quartiere, territorio, tradurli in piattaforme specifiche, in azioni di lotta, in organizzazione, insieme a tutte le forze che si battono per le stesse finalità. L’Altra Europa si fa parte attiva di questo percorso proponendo e promuovendo tre distinti ambiti organizzativi:
– Assemblee di quartiere, di paese, di azienda, di distretto, aperte a tutti, dove affrontare i problemi specifici di ogni lotta e di ogni iniziativa;
– Una “consulta” in ogni territorio e a livello nazionale, a cui partecipino tutte le organizzazioni, purché democratiche, antifasciste e antirazziste. In questa sede potranno venir promosse o concordate – tra tutti o solo con alcuni – progetti, campagne e iniziative di lotta comuni;
– Gruppi di lavoro tematici – locali e/o nazionali – per analizzare specifici campi o sviluppare una cultura critica su di essi, in cui coinvolgere anche le personalità e gli studiosi impegnati nel sostegno dei movimenti; ma soprattutto per promuovere, come Syriza in Grecia, iniziative pratiche per rimediare alle carenze dei servizi pubblici e fronteggiare le sofferenze di chi è rimasto senza reddito, senza casa, senza assistenza sanitaria, senza accesso all’istruzione.
Lavorare insieme in questi ambiti è la sostanza del processo di aggregazione di una coalizione sociale a cui tutte le organizzazioni interessate possano concorrere su un piede di parità. In essi L’Altra Europa si impegna a operare organizzata in comitati territoriali costituiti da tutti coloro che sottoscrivono questa carta di intenti e a cui possono aderire anche persone affiliate ad altre organizzazioni, ma mai come rappresentanti delle stesse (nel qual caso le sedi appropriate sono le consulte). I comitati si finanzieranno con quote proporzionali alle possibilità di ciascuno; eleggeranno democraticamente i propri portavoce, tutti volontari non retribuiti e a rotazione; si coordineranno a livello cittadino, regionale e nazionale sia con riunioni periodiche che mediante sistemi telematici di proposta, confronto e votazione; attivano sistemi di comunicazione per far conoscere al pubblico le proprie iniziative e prese di posizione”.
In seguito alla bocciatura di questa proposta è stato dato a Revelli il compito di predisporre un nuovo testo e a me e a Eleonora Forenza di visionarlo prima che venisse presentato ai 17. Cosa che ho fatto, con numerosi rilievi sia di stile che di contenuto, solo in minima parte recepiti nel nuovo testo Che incorpora però, come base di discussione, la parte del programma ricavata dalla mia bozza). In particolare, quello che mi ha indotto a non sottoscrivere questo manifesto, anche dopo che era stato sottoposto a numerosi altri emendamenti e integrazioni nel corso di ben due riunioni successive dei 17, è stata proprio la parte relativa all’organizzazione. Io avevo aggiunto, in chiusura della bozza iniziale di Revelli, la seguente postilla:
“Perché il nostro contributo a questo processo avvenga nel modo più democratico e partecipato possibile, ci dotiamo fin da ora di una struttura provvisoria, democraticamente eletta, che abbia il suo fulcro nei comitati e nelle associazioni dell’Altra Europa che si sono andati costituendo o si costituiranno nei territori secondo principi che combinino il massimo di aperture a nuovi apporti e il massimo sforzo per arrivare, ovunque possibile, a posizioni e scelte condivise”. Aggiungendo poi in un secondo tempo, per maggiore chiarezza: “Invitiamo quindi tutti i firmatari di questo manifesto a riunirsi nei comitati territoriali o tematici dell’Altra Europa o a costituirne di nuovi, per partecipare su un piede di assoluta parità alle decisioni relative al governo dell’organizzazione e alle scelte politiche da assumere”.
Avevo anche precisato fin da subito a Revelli che consideravo quell’aggiunta centrale, perché senza quella postilla, o una equivalente, o anche una più specifica, quel testo equivaleva a un vero e proprio proclama di scioglimento dell’Altra Europa.
Quella postilla, o altra equivalente, non è stata ammessa. I firmatari del manifesto spiegheranno meglio di quanto possa fare io le ragioni di questo diniego. Quanto a me posso solo aggiungere questo: abbiamo discusso il da farsi per due mesi, avendo come riferimento il “documento Revelli” del 23 ottobre, dove si proponeva di aprire subito l’associazione L’altra Europa alle adesioni individuali (e darci uno statuto entro nove mesi). Questo riferimento all’associazione è scomparso senza che un’indicazione del genere fosse emersa dai 38 interventi scritti pervenuti al gruppo incaricato di analizzarli, né in altri dibattiti (l’unica traccia in tal senso è il resoconto di un incontro tra una delegazione di Sel e una del nostro comitato operativo, il 12.11 da cui risulta che Sel non gradiva che L’Altra Europa si costituisse in associazione). E insieme all’associazione è scomparso anche qualsiasi riferimento ai comitati, alle associazioni locali o alle liste “L’altra Regione” costituite o in corso di costituzione. Cioè alle strutture di base alla cui autonomia dovrebbe essere rimessa – per fare un esempio urgente – la decisione su se e come partecipare eventualmente alle prossime elezioni regionali (e ciò mentre Sel ha già deciso di partecipare alle primarie del PD. E il PRC, in alcune situazioni, anche).
L’ansia di prendere a riferimento corpi più ampi, come quelli dei firmatari dell’appello iniziale, o degli elettori della lista L’altra Europa, o quello ancora più ampio dei potenziali nuovi elettori che potremmo conquistare in seguito alla crescente involuzione autoritaria del PD e soprattutto alla risonanza dello scontro in atto tra le politiche dell’Unione Europea e quell’opposizione che ormai viene indissolubilmente associata al nome di Tsipras (il nome corrente della nostra lista! Siamo stati snobbati e ignorati, ma adesso corrono tutti a incontrarlo. E questo è sicuramente un bene. E dobbiamo esserne fieri) ha spinto estensori e firmatari del “manifesto” ad azzerare di fatto tutto il lavoro che è stato svolto anche nei mesi dopo il 25 maggio da centinaia o migliaia di compagne e compagni che si sono adoperati, a modo loro, per tenere in vita L’Altra Europa. E’ un po’ – mi si perdoni il paragone – quella stessa cancellazione dei “corpi intermedi” tra elettorato e leadership di cui noi accusiamo il renzismo, ma che, nel suo piccolo, i responsabili della preparazione dell’assemblea sembrano aver fatta propria.
Per il resto, ho già scritto (huffington post 23.11.2014, in risposta a Curzio Maltese) che la lista Tsipras per me si può anche sciogliere per dare vita a qualche cosa di più grande. A condizione però di salvaguardare alcuni principi che sono alla base della sua costituzione; e, soprattutto, a condizione che a imboccare questa strada sia un corpo sociale in grado di discuterne e deciderlo democraticamente, avendo constatato che ci sono ampie ragioni per farlo. Ma non che quel pur piccolo corpo venga soppresso o cancellato senza sapere a che cosa si va incontro.
E’ stata infine decisa la costituzione di un “comitato di transizione” che sostituisca il comitato operativo e quello dei 221 in scadenza, in attesa della formazione di una nuova struttura che promani, con procedure democratiche, dai comitati o dalle associazioni territoriali o tematiche dell’Altra Europa. Di questo comitato di transizione la maggioranza dei membri dovrà essere composto da esponenti dei comitati locali da questi indicate/i. Ho chiesto che per rispettare uno dei principi costitutivi della nostra lista, si adotti un criterio di rotazione e, dunque, che la maggioranza dei membri che hanno già fatto parte del comitato operativo nel periodo elettorale e dell’attuale comitato operativo in scadenza non faccia più parte di questo nuovo organismo provvisorio. La mia proposta è stata respinta. Quanto a me, intendo comunque darle seguito. Sono stato prima garante e poi membro del comitato operativo e ho deciso da tempo, anche per ragioni di logoramento, che non mi candiderò né accetterò candidature a ruoli di responsabilità in questa nuova fase, continuando ad offrire come semplice attivista tutto il sostegno che potrò dare al percorso che vogliamo imboccare.