Spettabile Comitato Operativo Transitorio,
Spettabile Comitato Operativo Transitorio (e in gran parte permanente) de L’Altra Europa con Tsipras,
Vi scrivo per segnalarvi una situazione imbarazzante, causata da decisioni da voi arbitrariamente assunte, che non riguardano solo la mia persona, ma – credo – la stragrande maggioranza degli attivisti e dei sostenitori de L’Altra Europa.
Non ho sottoscritto e non sottoscriverò mai il documento Siamo a un bivio (sottoscrizione valida ai fini dell’inclusione nella compagine de L’Altra Europa) perché non lo condivido e lo considero in contrasto con lo spirito originario dell’appello da cui è nata L’Altra Europa – alla cui stesura anche io ho contribuito – nonché, anche, con buona parte del cosiddetto Documento Revelli del 23 ottobre scorso, su cui tutta l’organizzazione è stata chiamata a discutere per oltre due mesi, e ha prodotto oltre 40 interventi scritti, di cui non è stato tenuto alcun conto nella stesura di Siamo a un bivio, rinnegando persino parti sostanziali del documento che aveva dato inizio al dibattito.
Non ho sottoscritto nemmeno il documento Noi-L’altra Europa (sottoscrizione valida, fino al 13.3.2015, per l’inclusione ne L’Altra Europa) perché è una specie di copia fotostatica del documento Siamo a un bivio, con due integrazioni relative, rispettivamente, alla democrazia all’interno dell’organizzazione e alle elezioni regionali. Due temi a cui il vostro comitato è particolarmente allergico, soprattutto per potersi tenere “le mani libere” in vista di eventuali piroette politiche dell’ultimo momento rispetto a posizioni precedentemente assunte; ma anche due integrazioni che io condivido pienamente, ma che sono, con tutta evidenza, più degli emendamenti al primo documento, che non condivido, che delle aggiunte sufficienti a delineare una prospettiva autonoma. Infatti l’intero documento cosiddetto Gattuso era stato redatto – sostituendolo a una precedente e diversa versione – per facilitare l’inserimento di quegli emendamenti nel documento Siamo a un bivio e poter così arrivare a una sua versione condivisa: cosa che nei due incontri di condivisione a cui ho partecipato durante l’assemblea di Bologna era stata brutalmente esclusa da Marco Revelli, il quale aveva minacciato di andarsene se anche solo se ne fosse discusso. Tutta la nostra assemblea del 17-18 gennaio, d’altra parte, si è svolta sotto il segno del ricatto, imponendo che in essa non si votasse, nemmeno sul suo prolungamento al giorno dopo o sul modo di articolarne l’ordine del giorno. Avevo accettato controvoglia che non si votasse – ma solo sulla linea politica, e non certo anche sull’ordine del giorno – per evitare che l’assemblea si trasformasse in una rissa pubblica, come in parte era stata la riunione del comitato dei 221 di fine agosto 2014, se solo qualcuno avesse insistito nel chiedere che in quella assemblea, come avviene in tutte le assemblee, si potesse votare.
Allora, direte voi, puoi compilare la scheda di adesione con cui si può partecipare al processo costituente senza impegnarsi rispetto all’uno o all’altro documento. Ma io non posso sottoscrivere nemmeno quella, in quanto sottoscrivendola ci si impegna “ad aderire al processo costituente a partire…dal percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio”. Ora, a me come alla maggioranza dei partecipanti, e tanto più a chi non vi ha partecipato, non è per nulla chiaro quale sia il “percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio”. Anzi, è molto chiaro che non ne è stato “indicato” alcuno, dato che il percorso previsto dal documento Siamo a un bivio, riassumibile nella formula del “soggetto politico unico”, successivamente corretta in “casa comune della sinistra e dei democratici italiani” (una espressione per me priva di qualsiasi contenuto politico) è stato contestato da un grande numero di interventi e, non essendo stato messo ai voti per esplicita volontà dei proponenti, non si può assolutamente affermare che sia stato approvato, validato o condiviso dai partecipanti. In realtà si tratta, come ho più volte denunciato, prima e dopo la sua presentazione, di una prospettiva eminentemente “politicista”, scritta in “politichese”, che, come molte esperienze fallimentari che l’hanno preceduta, antepone la riunificazione delle organizzazioni della cosiddetta sinistra radicale (+ frange in uscita dal PD attese dalla corrente di Civati) al lavoro di ricomposizione delle tante istanze presenti nei movimenti, nei comitati di lotta, nell’associazionismo, nei sindacati – di base e non – nelle RSU, in tante comunità cristiane di base e parrocchie e tra le schiere crescenti di coloro che non partecipano alle elezioni perché hanno schifo di quello che viene chiamata sinistra. Antepone cioè al progetto di una coalizione sociale (e ovviamente, anche politica) il cosiddetto Big Bang della sinistra che era stato prospettato all’assemblea di Bologna e che avrebbe dovuto essere sanzionato nella successiva manifestazione detta Human Factor, e che si è rivelato invece un autentico flop. Una prospettiva comunque indigeribile, per me come per molti altri.
Voglio anche far notare – come ho già fatto più volte – che il documento Siamo a un bivio è stato commissionato a – e redatto da – Marco Revelli in contrapposizione a una diversa bozza di “carta di intenti” da me presentata e in gran parte inclusa nel documento originario che Domenico Gattuso avrebbe voluto presentare, e che ha poi ritirato, sostituendolo con quello Noi-L’Altra Europa, nel tentativo di arrivare a una composizione delle differenti prospettive. Ricordo che alla stroncatura di quella “carta di intenti” era stata dedicata un’intera seduta telematica – la prima – del gruppo incaricato di preparare l’assemblea del 17-18.1, con argomenti pretestuosi e in parte offensivi, che qui riporto in allegato per rinfrescare la memoria di chi avrà la pazienza di leggere questa mail. Non ho comunque presentato la mia bozza di carta di intenti – che peraltro avevo messo a punto dopo una discussione con parecchi compagni con cui condivido molte affinità – pur avendola diffusa con tutti i mezzi a mia disposizione, cosa che rifaccio anche adesso, perché mi sembrava assurdo presentare documenti contrapposti sia in un’assemblea che non vota, sia nel corso di un processo che dovrebbe dimostrare di sapersi svincolare da posizioni precostituite.
Ma in sostanza, la prospettiva del “soggetto unico – poi casa comune – della sinistra e dei democratici” presente nel documento Siamo a un bivio è stata messa a punto in aperta contrapposizione a quella di una “coalizione sociale” – dettagliatamente, ancorché sinteticamente sviluppata sia nelle indicazioni programmatiche che nelle articolazioni organizzative, che la rendevano, con tutta evidenza, una prospettiva al tempo stesso sociale e politica (in senso sostanziale) – che stava al centro della bozza di carta di intenti da me presentata. Quest’ultima, a detta di chi la criticava, “anticipava il risultato finale del processo costituente”, mentre la casa comune – o soggetto unico – come logica conseguenza, ne indicava solo lo svolgimento; o meglio, una sua tappa fondamentale – la lista unica alle elezioni nazionali – in programma nel 2018. E nel frattempo? Colpisce pertanto che, dopo che Rodotà e Landini hanno accompagnato la loro presa di distanza dalla deriva imboccata da L’Altra Europa con il rilancio, variamente inteso, della prospettiva di una coalizione sociale – già avanzata, peraltro, da Rodotà alla nostra assemblea dello scorso 7 luglio – articoli, prese di posizione e iniziative promosse da Revelli e da altri componenti del nucleo inaffondabile del Comitato Operativo Transitorio abbiano rimesso al centro dell’attenzione la prospettiva della coalizione sociale; variamente intrattenendosi poi sul tema della non contraddittorietà tra coalizione sociale e coalizione politica. Cosa falsa: la coincidenza tra coalizione sociale e politica non è reversibile in una coincidenza tra coalizione politica e coalizione sociale. O, tout court, con uno sguardo più lungo, tra “politico” e “sociale”. Sorge così spontanea la constatazione che quella contrapposizione che ha impegnato intere riunioni del gruppo preparatorio dell’assemblea di Bologna fosse puramente strumentale, finalizzata esclusivamente ad affermare un controllo esclusivo sul cosiddetto processo costituente da parte del gruppo che si è auto-ri-nominato nel Comitato Operativo Transitorio. Un passaggio chiave, in vista della sua riconferma nell’assemblea del prossimo aprile, ponendo così solide basi alla costituzione di un “apparato”, indispensabile per trasformare L’Altra Europa in un ennesimo “partitino”, da affiancare a quelle che ne dovrebbero essere solo delle componenti, peraltro non ufficiali, come SEL e PRC. Oppure che il Comitato Operativo Transitorio, ovvero la sua componente permanente, si ritengano autorizzati a variare à la carte il processo in cui vuole impegnare L’Altra Europa, a seconda delle opportunità del momento, essendo, come tutte le burocrazie di partito, relativamente indifferenti ai contenuti politici, ma attenti solo a “tenere ritta la barra” – come dice Torelli – su se stessi. In entrambi i casi, è difficile per me, come per molti altri, aderire a un processo così politicamente indeterminato.
Non si tratta di questioni nominali. Sta davanti ai nostri occhi, in vista delle prossime elezioni regionali in Liguria – da tener presente che il vecchio Comitato Operativo, che in gran parte rivive nel nuovo VComitato Operativo transitorio, si era opposto a una nostra partecipazioni alle elezioni regionali con argomentazioni pretestuose, tipo: le regioni non contano nulla, e altre amenità – sta davanti ai nostri occhi la contrapposizione tra una aggregazione di comitati, associazioni e movimenti costruita nel corso del tempo, alla cui costruzione l’associazione L’Altra Liguria ha partecipato e concorso da tempo, e la candidatura ad essa contrapposta, completamente estranea a quel processo, proposta e sponsorizzata da Sergio Cofferati che, se ha acquistato molti meriti guidando un’epica battaglia sindacale contro l’abolizione dell’art. 18, li ha poi completamente persi con una sindacatura a Bologna condotta all’insegna della lotta contro i Rom e contro i raduni dei giovani, e sostenendo e promuovendo Grandi opere assurde come Civis, Peolple mover ed altro. Attitudine che ha conservato una volta trasferito nel Parlamento europeo dal suo stesso partito, che non lo ha più ripresentato a Bologna, facendosi paladino, come peraltro il suo beniamino, di altre e più gravi grandi opere come la variante di valico e della privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ora, se sono vere le indiscrezioni trapelate sui media e parzialmente confermate da una mail di Torelli a Simonetta Astigiano, sembrerebbe che il Comitato Operativo Transitorio, in aperta violazione di quello che è il suo mandato, sarebbe pronto a scendere in campo a sostegno di questa candidatura, contro il lavoro fatto per mesi dall’associazione L’Altra Liguria. In tal caso – che mi auguro non si verifichi, perché sarebbe devastante non solo per i nostri compagni liguri, ma per la possibilità stessa che il lavoro di tante persone e di tanti movimenti possa essere sottoposto a una verifica pubblica – la contrapposizione tra il Comitato Operativo Transitorio e il lavoro che dovrebbe coordinare solo in vista della prossima assemblea sarebbe totale. Ma la vera domanda è: qual è, allora, “il percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio”?
Aggiungo che oltre a queste ragioni strettamente politiche, ce ne sono altre, di ordine organizzativo – ma che attengono all’essenza stessa della democrazia – che inducono a forti riserve nei confronti della strada proposta dal Comitato Operativo Transitorio. Non era mai stata prospettata, infatti, né nel dibattito di Bologna né prima, la comparsa dentro L’Alta Europa di un gruppo di “senatori a vita” auto-dotatisi di diritto di voto senza passare attraverso il vaglio delle assemblee provinciali. Né era prevista la presenza di commissari politici alla presidenza delle assemblee provinciali. E meno che meno che l’assemblea nazionale si svolgesse nella forma di un congresso per documenti contrapposti; anzi, nella migliore tradizione della peggiore sinistra, sulla base di un unico documento: prendere o prendere. E per giunta, per delegati: affidando forse a questi il compito di definire la composizione – verosimilmente su lista unica – del futuro comitato operativo (o come si chiamerà) invece di farlo eleggere direttamente dalle assemblee provinciali, in modo da rispecchiare le esigenze locali e garantirne maggiormente la cosiddetta “contendibilità”. Affidando così a un organo centralistico e irresponsabile anche la definizione della futura linea politica de L’Altra Europa.
Insomma, tutte queste ragioni mi inducono a chiedere – e pretendere – che le eventuali votazioni e l’elezione del nuovo organismo di coordinamento si svolgano nelle assemblee provinciali, sulla base di documenti e candidature che vengano presentate ex novo in ciascuna di esse, e non nell’assemblea nazionale, ad opera dei soli delegati; e che per l’adesione a L’Altra Europa sia sufficiente e necessario aver sottoscritto l’appello iniziale (so che alcuni, persino tra i candidati che si sono impegnati a rispettarlo, non l’hanno firmato – e lo dichiarano pubblicamente – perché non lo condividevano: e lì, forse, sono cominciati i nostri guai) e i 10 punti di Tsipras, debitamente rivisti. Attendo risposte in proposito, previa adeguata discussione in tutti i comitati, sia quello centrale che quelli periferici.