Su “Romanzo di una strage”
Invio il testo di due lettere sul film Romanzo di una strage, indirizzate a Repubblica. La prima è stata pubblicata il 3 aprile, unitamente alla risposta di Miguel Gotor, che riporto. La seconda, come mi aspettavo, non è stata e non sarà pubblicata. Infatti, in questo paese il commissario Calabresi è come un cavo ad alta tensione: chi lo tocca viene fulminato (a meno che non lo faccia senza accorgersene, come è avvenuto a Giordana e Tozzi, che non sembrano avere un’idea molto chiara di quello di cui parlano).
Ho letto e riletto l’articolo di Miguel Gotor sui misteri di Piazza Fontana (Repubblica, 1.4.2012) cercando di venirne a capo. E ho capito quanto segue: che le critiche di Sofri al libro di Cucchiarelli sono giuste, ma lui non è legittimato a farle perché condannato per l’omicidio Calabresi e forse tormentato (non si sa se dalla condanna o dall’omicidio di cui si è sempre dichiarato innocente). Che la ricostruzione di Cucchiarelli non ha alcun fondamento, ma lui può dire quello che vuole, perché la sua non è un’opera storica, come pensa Sofri, bensì “un’inchiesta”. Che la strage di Piazza Fontana non è stato “un complotto”, ma un ordinario meccanismo di lotta politica condotta da uno o più corpi dello Stato. Che di fatto Sofri dà ragione a Cucchiarelli perché il solo parlare delle sue tesi (e non anche il fatto di ricavarne un film) ridà fiato a quel clima di ambiguità e mistero con cui un libro pubblicato nel 2009 ha alimentato e legittimato il clima di violenza degli anni ’70. Cioè, per l’appunto, di 43 anni fa. Guido Viale, Milano.
NON so dove e come Guido Viale abbia potuto desumere dal mio articolo ciò che sostiene di avere capito leggendolo. Tuttavia, dai momento che anche sul “Corriere della Sera” di ieri Pierluigi Battista scrive che avrei addirittura «intimato al silenzio Adriano Soffi», desidero tranquillizzare i miei due interpreti: penso (e mi trovo a disagio solo nel doverla puntualizzare apparendomi dei tutto evidente) che Sofri abbia ogni diritto a intervenire pubblicamente sulla vicenda di Piazza Fontana e non solo, come peraltro ha già fatto più volte in passato E in modo assai efficace, tanto che nei miei lavori su Aldo Moro mi sono ripetutamente avvalso delle sue analisi. Il problema è che il film di Giordana rilancia la tesi di un libro mediocre: per confutarla Sofri (e anche io) siamo stati costretti a parlarne regalando a quel testo un’immeritata pubblicità. Come storico mi dispiace. (Miguel Gotor)
Scusate se torno sull’argomento, ma resto esterrefatto (come 43 anni fa) di fronte alla leggerezza con cui si affrontano certi argomenti. Scrivono Giordana e Tozzi nella lettera di autodifesa del loro film Romanzo di una strage (Repubblica, 4 aprile) di aver raccontato “i servizi [segreti] impegnati non a deviarsi, ma a fare il loro lavoro”. Dunque ritengono normale che il lavoro dei “servizi” sia fare, o far fare, o lasciar fare, delle stragi ai fascisti per accusarne gli anarchici o la sinistra: in nome di una “doppia lealtà” – “alla Costituzione antifascista e alla necessità della lotta al comunismo” – che è “la cifra della nostra democrazia”. Chissà quante altre cose sono state comprese nel “lavoro” dei servizi da allora in poi…Ma il vero problema è la figura del Commissario Calabresi, che il film presenta indissolubilmente abbarbicata a quella di Giuseppe Pinelli (simul stabunt, simul cadent). Rientrava anche nei suoi compiti quella “duplice lealtà” che ha guidato la persecuzione e la diffamazione degli anarchici per una strage fatta da altri? Guido Viale. Milano
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