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Sul nuovo feudalesio aziendale instaurato dall'”accordo” di Mirafiori (il manifesto, 19 febbraio 2011)

Inserito da on Ottobre 19, 2011 – 3:15 pmNo Comment

L’accordo sottoscritto a Mirafiori da tutti i sindacati tranne la Fiom e passato al vaglio di un referendum con un ristretto margine di voti, espressi sotto il ricatto di perdere per sempre il lavoro, rischia di ripiombare il paese in un vero e proprio “feudalesimo aziendale”.

Quell’accordo, che ogni lavoratore dovrà poi sottoscrivere individualmente se vuole essere riassunto dalla nuova società (NewCo) che nascerà alle Carrozzerie di Mirafiori, prevede una gravissima limitazione del diritto di sciopero e l’abolizione della rappresentanza elettiva a favore di una gestione dei contenziosi affidata ai sindacati firmatari. Ma senza alcun miglioramento delle condizioni di lavoro o della sicurezza dell’occupazione.

Gli operai verranno infatti messi in cassa integrazione, prima ordinaria, poi straordinaria, motivata da un “evento improvviso e imprevisto”, come recita il contratto, che però prevede “l’imprevisto” con assoluta certezza. Nel frattempo – ma si tratta di oltre un anno – verranno convocati uno a uno per essere selezionati e per firmare il contratto individuale che li vincolerà indissolubilmente ai termini dell’accordo. Molti probabilmente verranno scartati, perché maestranze che nel 2012 avranno un’età media di 48 anni, per il 30 per cento composte da donne, e per il 30 con ridotte capacità lavorative non possono certo reggere i ritmi di lavoro previsti dall’accordo. Poi verrà costituita la NewCo e solo a febbraio 2012, se tutto “va bene”, comincerà una produzione di suv, assemblati su pianali e con trasmissioni e motori prodotti negli USA; per essere rispediti e venduti negli USA na volta montati. Ma che senso ha questo viavai tra Italia e USA, se persino lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, in Sicilia, viene chiuso perché troppo lontano dai fornitori di componenti? Il fatto è che tra le condizioni poste da Obama per consentire la scalata di Marchionne alla Chrysler c’è quella di esportare dagli USA, e fuori dall’ambito Nafta (Canada e Messico) prodotti per almeno 1,5 miliardi di dollari. Dunque, pianali e motori trasferiti (e venduti) da Detroit a Torino dovranno concorrere nella misura maggiore possibile al raggiungimento dell’obiettivo. Ovvio che questa “esportazione” di componenti verrà sovrafatturata e i margini di Mirafiori verranno ridotti all’osso per giustificare eventualmente successivi ridimensionamenti dello stabilimento.

L’accordo di Mirafiori, dopo quello di Pomigliano, la dismissione di Termini Imerese, la separazione dall’auto di Cnh (trattori e movimento terra), e Iveco (camion) e la prossima trasformazione in NewCo anche degli stabilimenti di Cassino e Termoli (Melfi, cioè Sata, sta già per conto suo), prelude di fatto alla dissoluzione di Fiat Group. Ogni NewCo, andrà per conto suo. Chiuderà, verrà venduta, o data in affitto, o lavorerà per altri marchi (come succede alla Fiat Poland, che lavora anche per Ford e succederà alle Carrozzerie di Mirafiori che non produrranno più macchine Fiat) e diventeranno “fabbriche cacciavite” che lavorano per altri. E poi?

Poi la crisi è tutt’altro che superata; le finanze di tre quarti dei paesi dell’UE sono a rischio. I consumi ristagnano. Il mercato europeo dell’auto (a differenza di quelli USA e asiatico) non dà segni di ripresa. C’è ormai un eccesso di capacità non solo in Europa e negli Usa, ma anche in Giappone, Cina e Corea, i cui produttori sono quindi pronti ad accrescere la loro quota di mercato in Europa. Qualcuno si è chiesto quali sono i “vantaggi competitivi” con cui Marchionne conta di vendere ogni anno in Europa un milione in più di vetture fabbricate in Italia?

Marchionne e i suoi azionisti, se riescono a portare a termine la scalata a Chrysler, possono anche permettersi di mandare a fondo i lavoratori della Fiat, dopo averli legati con un accordo capestro ai loro rispettivi stabilimenti. Ne ricaveranno un aumento degli utili e delle stock option. Ma il paese e tutti coloro che vivono del proprio lavoro non possono farlo. Il futuro degli impianti, del knowhow e del lavoro che oggi fanno ancora capo a Fiat non riposa più sull’industria dell’auto. I settori che hanno un avvenire sono altri: quelli che conducono verso la sostenibilità: energie rinnovabili, efficienza energetica, ecoedilizia, riassetto del territorio, mobilità flessibile. E su questo che dobbiamo puntare

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